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Andre Matos

Line up:

Andre Matos - Vocals, Piano
Luis Mariutti - bass
Hugo Mariutti - guitar
Fabio Ribeiro - Keyboards
Eloy Casagrande - drums
Andre Hernandes - guitars
www.andrematos.net
 

E’ un Andre Matos affrettatissimo, ma molto disponibile, quello che si presenta a Milano in occasione della promozione del suo primo lavoro solista, intitolato “Time to be Free”. L’ex-leader di Angra e Shamaan ha offerto ai presenti un gustoso set acustico dove, in compagnia del chitarrista Andre Hernandez, ha rivisitato i suoi successi in chiave acustica, con l’illustre partecipazione di un certo Fernando Ribeiro direttamente dai Moonspell!. Al termine dello show il cantante brasiliano si è concesso alle domande dei giornalisti, per un’intervista piacevole ma purtroppo breve a causa dei molti ritardi che si sono accumulati. Quella che doveva essere infatti un’intervista “one by one” a detta dello stesso Matos, si è trasformata in una press conference, comunque molto divertente e che ha messo in luce un personaggio più profondo (e chiacchierone!!) di quanto il sottoscritto potesse immaginare.

Ciao Andre, e benvenuto sulle pagine di Holymetal! Cominciamo subito con una domanda che riguarda il titolo del tuo album, questo “Time to be Free”. Cosa vuole significare? Che messaggio porta con sé?
Ciao Riccardo. Dunque, la scelta di chiamare il mio primo disco “Time to be Free” ha sicuramente due origini. La prima impressione che il titolo può dare è che probabilmente io stessi cercando ti liberarmi dal mio passato, dalle mie ex band e che ora io mi senta libero di fare tutta la musica che voglio: è corretto solo in parte. Da un lato sì: sono libero da alcune limitazioni. Perché quando sei parte di una band…ogni band ha un certo tipo di stile musicale. Quindi gli Angra erano una cosa e Shaman un'altra, ed è stato importante che fossero diverse. Ma se gli Shaman avessero cominciato a fare musica come gli Angra…o gli Angra come i Viper, la cosa ci si sarebbe ritorta contro. Con ogni band dovevo e volevo seguire una direzione nuova. Ora, che è una solo band, posso sperimentare liberamente…e non cerco di copiare il passato. Ne sono influenzato, non lo nego…ma su questo passato creo qualcosa di diverso. Questo è il primo approccio. Il secondo, quello vero,…è che dietro al titolo si nasconde un concept album. Oggi stiamo vivendo in un mondo virtuale, dove tutto è veloce, è connesso al resto del pianeta. E’ incredibile come il nostro mondo virtuale stia prendendo il posto di quello naturale. Da un lato ci dà comodità, è vero, ma dall’altro paghiamo un prezzo veramente alto. Perdiamo valori ed elementi umani che c’erano nel passato, perché i nuovi valori virtuali soppiantano quelli naturali. Abbiamo il nostro più grande amico in Cina, ma non conosciamo il suo vicino di casa. Oggi poi, la gente è più preoccupata di fare una grande carriera, spendere soldi e far vedere che li spende, convinta che questo sia il benessere che il mondo in evoluzione sta portando. Credono che libertà e la felicità siano lì dentro. Ma non è vero…non c’è risorsa al mondo che possa darti felicità. Per questo credo che “Time to be Free” abbia due interpretazioni. Voglio cercare di fare capire che, secondo me, la libertà è dentro noi stessi.

Beh sicuramente una risposta dettagliata! Senti, sempre restando nell’analisi del tuo album. Sembra che tu abbia eliminato molti elementi folk, legati alle tue radici brasiliane, e forse anche il carattere più progressivo che avevi assorbito con gli Shaman. Quanto c’è di vero? E’ un disco più essenziale, più diretto?
Dunque, no, non mi sono dimenticato delle particolarità dei miei dischi precedenti. Semplicemente, quando ero più giovane forse, volevo unire più culture, incuriosito e appassionato da queste, forse incastrandole con una forzatura. Ma non me le sono dimenticate. Quando sei giovane, ti ripeto, esageri pieno di entusiasmo. Qualcosa che ho imparato al conservatorio è che la forma della musica è la cosa più importante: per me ha senso solo mischiare vari generi assieme, solo se c’è motivo di unirli. Senza obblighi di sorta. Questo album è una sorta di sommario della mia carriera, ma non è una copia di questa. Non sopporto chi ripete la stessa, solita formula pensando di arrivare al successo. Tristemente questi il successo lo raggiungono davvero, ma si tratta di un successo che dura pochi anni. In tutta la mia carriera ho sempre cercato di essere creativo, e credo che il metal sia un settore dove è ancora possibile inventare. Così come è stata reinventata la classica, il jazz, così può essere per il metal.

Ma qualche influenza c’è comunque in questo album no? Già solo il titolo “Rio”…
Esatto, la canzone Rio, è ispirata dal film brasiliano “City of God”, che mi ha impressionato molto, perché inscena una realtà che in Brasile purtroppo esiste davvero. Qualsiasi cosa legata al Brasile fa pensare alla samba, ai nostri ritmi. E proprio per questo ho messo dei ritmi samba nel mezzo, ma affrontando un testo ed una musicalità che sono molto più dark, proprio alla luce del film che ha ispirato questo brano.

A proposito del passato, che hai citato tu stesso poco fa: quanto ti pesa il fatto di essere sempre associato al nome Angra in particolare?
Non posso dirti che mi pesi sinceramente, è vero trovo ovunque quel nome. Ma è qualcosa con qui io ho costruito la mia carriera, dove ho passato la maggior parte del mio tempo come artista. E’ qualcosa che io ho fondato, e che, come tutte le cose, ha una fine. E su quel passato ho fondato il mio futuro: la band di oggi infatti non è un solo-project, ma una band che porta il mio nome. Con i ragazzi con cui suono c’è una grande cooperazione ed ottimi rapporti di amicizia, è vero io sono il responsabile del successo o del fallimento della band, ma è con questi ragazzi che ho composto i pezzi. Non si tratta di essere un dittatore e di comandare gli altri. Oggi, alla mia età ancora di più, il rispetto per gli altri componenti è fondamentale. Per questa mancanza prima di tutto forse, le band si sciolgono. Quindi no, il nome Angra non mi pesa, anzi forse mi ricorda dove sono arrivato e cosa devo e voglio fare per andare ancora oltre.

Parliamo di tour. Quest’estate ci sarà il tour di Avantasia. Hai intenzione di prenderne parte? E per quanto riguarda un tour per la promozione del tuo album solista?
Dunque, come ben sai, i piani per i festival vengono fatti molto prima di un paio di mesi. Con il mio album verrò in Europa per un tour dopo l’estate che toccherà ovviamente il vostro paese. Ma ci tengo a sottolineare che farò anche di tutto per suonare in altre città oltre che a Milano. Per i vostri compaesani che arrivano da altre parti d’Italia raggiungere questa città spesso non è possibile: quindi cercherò di suonare anche a Roma. Per Avantasia sarà difficile che io possa prendere parte a questo tour, ma non è escluso che riesca a fare qualche comparizione in alcuni festival e progettare il tour di Avantasia del prossimo anno.

Perfetto. Ora una domanda un po’ scomoda. Per quale ragione hai abbandonato gli Shaman?
La ragione è molto semplice: c’è stato un crollo dei rapporti personali. Abbiamo tentato, tutti noi, di tenere in piedi la band, cercando di recuperare i rapporti perché Shaman era qualcosa a cui tenevamo molto. Tuttavia, ci siamo resi conto che stavamo tentando di salvare qualcosa di compromesso quando ci siamo trovati a comporre il materiale per il nuovo album e nessuna buona idea è venuta fuori. Continuare con Shaman e deludere i fan e noi stessi non era la scelta più giusta. Sai quante grandi band rimangono in piedi per ragioni economiche? Per non perdere il loro status di celebrità? E poi non si parlano magari da anni! (si riferirà agli Iron Maiden? Ndr). Noi, e almeno su questo eravamo d’accordo, non volevamo assolutamente quel tipo di vita. Per noi e per i nostri fan.

Ok, purtroppo Andre il tempo stringe, quindi un’ultima domanda. L’album è stato prodotto da due illustri produttori quali Roy Z e Sascha Paeth. Qual è il motivo di questa collaborazione?
Il motivo è molto semplice. L’album doveva essere prodotto dal solo Sascha, che conosce ormai a memoria il mio modo di lavorare. Purtroppo però non aveva abbastanza tempo per dedicarsi completamente al progetto. Per non perdere del tutto Sascha abbiamo diviso il lavoro in modo che lui potesse occuparsi di un lato della produzione, quello più tecnico, e Roy Z, con cui ci eravamo promessi da anni di collaborare, del lato più artistico. Grazie alla mancanza di tempo di Sascha mi sono trovato di fronte ad un’esperienza interessante. Roy e Sascha arrivano infatti da due culture completamente opposte: uno ha origini messicane, quindi più estrose, se vuoi “folli”. L’altro, Sascha, è tedesco, quindi molto freddo, calcolatore e non lascia niente al caso. Grazie a questo incontro l’album suona come un mix di culture e se vuoi, anche questo può casualmente ricollegarsi al titolo del disco!

Il tempo è andato ben oltre lo scadere, ma un prezioso e disponibilissimo Matos ci ha regalato alla fine un’intervista diversa dal solito. L’appuntamento è quindi per dopo l’estate con il suo tuor europeo!

Intervista di  Riccardo “Rik” Canato

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