Quando quest’album uscì nel 1983, fu amore a prima vista con il pubblico americano; i Night Ranger dopo “Dawn Patron” che li aveva portati sotto i riflettori del mondo dell’hard rock melodico, di quell’hard rock da arena americana, davanti a folle oceaniche, i ragazzi sfoderano il loro classico, il loro album che resterà nella mente di chi quegli anni li ha vissuti.
“You Can Still Rock in America” è un inno alla felicità, quell’inno alla gioia degli spensierati anni ’80, una canzone scritta per comprovare quando l’american dream, che tanto l’europa sognava, era tangibile era reale; linee melodiche che ti entravano subito in testa, due chitarristi, is gnori Watson e Gillis, che impreziosivano il tutto con pregevoli assoli che aggiungevano classe adamantina,e le voci di Blades e Keagy a amalgamare il tutto.
“Rumors in the air” grazie al lavoro estenuante ai synth di Alan “fitz”, risulta essere coinvolgente, accattivante e tambureggiante, nel refrain sfidandosi con la voce di Kelly Keagy e lasciando ai due solisti dell’ascia dire la loro per impreziosire il pezzo, un pezzo di hard rock puro stile anni 80, melodico, rutilante, coinvolgente ed emozionante.
Sembra il titolo giusto per una ballad, e la collocazione era quella voluta dai discografici per una ballad, ma “Why does love” è un mid-tempo, sempre scandito dalla batteria e dalla voce di Kelly Keagy, aggressivo il giusto, con un testo che tutto è tranne che una ballad, il rumore del cuore infranto si sente anche attraverso i solchi di questa canzone!
Attendevamo una ballad, e ci arriva LA ballad, sicuramente una delle 100 ballads più belle nella storia dell’hard rock, scritta da Jack Blades, per la sorella, la quale cominciava nel periodo dell’hig school ad uscire con i primi ragazzi, e, da buon fratello maggiore, cercava di metterla in guardia mettendo i suoi consigli nella ballad; struggente, commovente, con un ritornello che ti entra dritto nell’anima.
Di tutt’altro registro è “Touch of madness”, dove i Night Ranger picchiano un po’ più duro, dove Watson e Gillis se le “danno” di santa ragione, scambiandosi riffs su riffs nel break centrale, dove la voce di Blades ci guida con personalità e molta melodia nel chorus, semplicemente impagabili.
“Passion Play”, l’avresti voluta nel tuo stereo per attraversare gli States da costa a costa, con quel suo incedere sinuoso, aprendosi poi in un ritornello che nel giro di due secondi o più ti si era già scolpito nella testa, e portandoti a battere il tempo con qualsiasi cosa avessi a portata di mano.
“Chippin Away” e “Let him Run” chiudono un disco IMPEDRIBILE degli eighties, per chiunque si dica fan di un certo hard rock, un disco che ha retto al passare del tempo, un disco che ha sempre mostrato le grandi qualità tecniche e compositive di una band che ha sempre fatto dell’umiltà e della sostanza un dato di fatto; prova ne è che a tutt’oggi la band continua suonare nelle arene americane, osannati da critica e pubblico, e senza rischio di finire nel dimenticatoio, MAGNIFICI!
Recensione di Lorenzo C.
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