Approfittando della nuova release dei Jon Oliva’s Pain intitolata “Global Warning”, Jon Oliva, lo storico leader dei troppo sottovalutati Savatage, si è reso disponibile per un’intervista poco prima di salire sul palco del Viper Theater di Firenze. Un uomo mastodontico, tanto nella figura quanto nel carisma, sofferente per un problema al ginocchio e costretto ad usare un bastone per camminare. Genio e follia tra metal, classica e teatro, simpatico e disponibile con tutti come sempre: potere avere una conversazione libera con questo personaggio unico è la realizzazione di un sogno!
RIK: Ciao Jon, e grazie per la tua disponibilità!
JON: Ciao, grazie a te! E’ sempre bello tornare qui in Italia!
R.: Bene, non voglio rubarti troppo perché tra non molto salirai sul palco! Quindi diamoci dentro! Siamo giunti ormai al terzo capitolo dei Jon Oliva’s Pain e sono quasi cinque anni che lavori con questa band. Ci puoi spiegare in breve tempo l’evoluzione? Come è nato questo progetto e come è ora?
J.: Il primo disco è stato una specie di “prova”. “Tage Mahal” era infatti composto da canzoni che avevo già scritto in precedenza, molte delle quali sono state prese da quello che sarebbe dovuto essere il successore di “Poets and Madmen” dei Savatage. Gli altri ragazzi che ora compongono i JOP sono arrivati a lavoro praticamente finito. Il secondo disco invece, “Maniacal Renderings” è decisamente il lavoro di una vera band, che ha portato poi al terzo disco, dove gli altri hanno anche potuto riarrangiare parti da me scritte in precedenza. Ti piace l’album vero? Vero?! (ride e canta, martellando il tavolo con il suo bastone ndr).
R.: L’album sembra essere incentrato su due generi, una parte più metal e una parte più alla “Pink Floyd”, c’è una ragione? Si tratta di canzoni davvero agli antipodi, come se ci fossero due anime musicali dentro di te e nella band.
J.: Onestamente, devo dirti che alle volte io ho anche tre, quattro personalità contemporaneamente, hahaha! Sì, comunque hai ragione. Voglio dirti, esce così. Io non ci penso, non ci pensiamo. Mettiamo una canzone pink floydiana qui, una alla Queen di qua, una in pieno stile “vecchi Savatage” da un’altra parte. Non ci pensiamo dunque, è così e basta. “Global Warning” è un album molto versatile, potremmo quasi dire una montagna russa musicale. Ti porta su e giù, senza soffermarsi su degli standard. E’ libertà.
R.: Bene Jon, ora una domanda che, da tuo grande fan, mi sta molto a cuore, prima di parlare più approfonditamente del nuovo disco. C’è un sogno musicale, nella tua carriera, che vuoi ancora realizzare?
J.: Un sogno musicale? Non lo so, ci dovrei pensare un po’. E’ una gran bella domanda. Forse scrivere una sinfonia un giorno, da solo. Quando sarò vecchio e abbandonato a me stesso, hahaha (ma ce la farà a stare serio mezzo secondo?!, ndr) ! Scherzi a parte, credo sia proprio il sogno che non ho ancora realizzato nella mia carriera.
R.: Qual è la tua principale fonte di ispirazione quando scrivi?
J.: Le droghe, ovviamente (ride, ancora!)
R.: Haha, ok quindi quando si parlava di influenze pinkfloydiane…
J.: No no, non sono le droghe. Come sai quel mondo ormai è molto lontano da me. Niente droghe. Sono le band che mi hanno cresciuto, i Beatles, Queen, Black Sabbath, Deep Purple. Puoi trovare un po’ di loro nelle mie canzoni, ho rubato da tutti loro, e continuerò a farlo! Comunque le influenze arrivano da dove provieni, dalla vita che hai e che conduci nel bene e nel male. E soprattutto dalla persona che sei; tutta la tua vita influenzerà il tuo modo di comporre. Come per i testi: se vuoi qualcosa che ti capita a livello onirico, che ti porti alla follia prendi “The dungeons are calling”, ma è una cosa che ho già fatto tanti anni fa.
R.: Ecco, parliamo invece dei testi di “Global Warning”. I primi tre fanno parte di un concept che si sarebbe dovuto estendere a tutto l’album, salvo poi ripensamenti. E’ corretto?
J.: Non del tutto, dunque. Ci sono state un po’ di incomprensioni a riguardo. Il titolo Global Warning è una specie di apripista alle varie tematiche che affronto in tutte le canzoni del disco. Non è un vero concept nel senso che non vi è dietro una storia con un inizio ed una fine. E’ un “concept” perché tutte le canzoni trattano argomenti affini, ed il titolo racchiude in sé in modo macroscopico tutte le tematiche che poi vengono affrontate con maggiore precisione nelle canzoni singole: in “Firefly” ad esempio parlo di soldati che combattono e si nascondo dalla guerra che stanno combattendo chiedendosi il perché di questa follia. In “Adding the Cost” parlo di soldi e del mondo ormai in vendita, e di quello che la gente fa per avere dei soldi in più. In “Master” invece sfogo tutta la mia avversione per i computer e per tutta la gente che si rovina la vita a causa di un utilizzo esagerato e maniacale della tecnologia moderna. Odio i computer perché uccidono l’immaginazione, la fantasia e soprattutto la vita. Chiudendo le persone dentro se stesse.
R.: Parlami del testo di “Before I Hang”, un testo davvero forte per la mia canzone preferita dell’album. Si tratta, secondo me, delle liriche più complesse del disco e credo meritino la dovuta attenzione.
J.: E’ una canzone che parla di un terrorista. Quando canto “chi è costui che vedo giacente sul ciglio della strada…”, mi immedesimo in un ragazzo accanto al terrorista, che si domanda chi sia quel personaggio angusto. Quando invece entrano le chitarre nel ritornello, canto la parte del terrorista, che profetizza al giovane la sua visione e quello che accadrà al mondo. Sono destinato ad essere frainteso a quanto pare! Tuttavia l’idea di cantare con un timbro diverso due personaggi così opposti l’ho trovata da subito “cool” e funzionale alla canzone molto più di altre soluzioni, e ne sono soddisfatto. Forse non è semplice da capire, ma ora la vedi in modo diverso, vero? Vero?!
R.: Beh lascia che ti dica che per quanto mi riguarda “Before I hang” è un capolavoro! Dimmi, la prima parte della canzone è stata presa da “Larry Elbows”, song scartata dallo storico “Streets” dei tuoi Savatage.
J.: Sì è così. Tuttavia, come ti dicevo prima, Kevin e Chris (bassista e batterista, ndr) hanno cambiato l’arrangiamento del pezzo, rendendolo più moderno. Io adoravo quella strofa e avevo deciso da tempo di riutilizzarla, per non farla cadere nel dimenticatoio. Quando sono arrivato in sala prove mi sono trovato di fronte Kevin e Chris che mi hanno fatto sentire la nuova versione. “Man, abbiamo cambiato qual cosina!” mi dissero! Hahaha! Avevano deciso loro, hahaha! Ma io non potevo che esserne felice! Non appena ho sentito la loro proposta ho esclamato “Wow, that’s goooood!”. Sai, io scrivo tutto il materiale, ma noi siamo davvero una band!
R.: I grandi amanti dei Savatage si aspetterebbero che partisse il ritornello di “Follow Me”, finita poi su “Edge of Thorns”.
J.: Assolutamente sì! Ma lo avevamo appunto usato già per quel pezzo. Ci sono molte canzoni dei Savatage composte da riff scartati o ripresi per altre canzoni. Lo abbiamo fatto con “When the crowds are gone” tre volte! Parte di quella canzone è finita anche su “Believe” e poi su “Alone You Breath”! Mi piace così, fa tutto parte di noi!
R.: It’s part of the magic…
J.: Yes, it’s part of the magic, babies! Yeah!
R.: Senti Jon, sei giunto, come dicevamo poco fa, al terzo album con i Jop. C’è in cantiere un live album?
J.: Oh sì, certamente. Però credo che la band debba ancora arrivare ad un certo livello, prima di pubblicare un disco dal vivo. E non parlo necessariamente di bravura tecnica perché sono tutti ottimi musicisti, ma di amalgama tra di noi, parlo di creare quella familiarità tra di noi, tra il nostro pubblico, che è necessaria per pubblicare non un classico live, ma un live degno di essere ricordato. Il progetto è di fare uscire un quarto album e di accrescere la popolarità dei Jon Oliva’s Pain. Dopodichè sicuramente arriverà del materiale dal vivo.
R.: Bene Jon, un’ultima domanda. L’industria musicale. Il suo futuro. Dove credi che stia andando?
J.: Oh, domanda interessante e ti posso dire che sta andando…da nessuna parte! Seriamente, non ne ho idea. E’ divertente vedere cosa sta succedendo, come le cose stiano cambiando. Credo proprio che le case discografiche siano destinate a sparire, probabilmente nei prossimi cinque anni. Hanno sbagliato negli scorsi decenni ed ora ne pagano le conseguenze. Come purtroppo però, le pagheremo noi, artisti e fan. Spariranno i cd, una cosa che io amo. Ricordo quando uscivano gli album dei “Black Sabbath” e io mi fiondavo la mattina stessa prima dell’apertura dei negozi, affamato delle loro nuove canzoni. E quando finalmente avevo in mano il disco era il momento più bello della mia vita! E’ una cosa triste sapere che questo si perderà. Troveremo la musica su internet, gratis o a pagamento, ma il valore affettivo dei cd non ci sarà più. Il loro profumo, la loro magia, purtroppo spariranno. E’ il momento di internet.
R.: Beh, devo confessarti che anche io ho scaricato “Global Warning” (ride e fa finta di colpirmi col bastone!) Ma non te la prendere, qui è uscito dopo e io non ce la facevo ad aspettare! Poi ovviamente l’ho comprato! Senti, per quanto riguarda la Trans Siberian Orchestra, cosa si sta muovendo?
J.: Sta arrivando il nuovo album, a novembre e si intitolerà “Night Castle”. Questo così come “Beethoven’s Last Night” non affronterà tematiche natalizie, ma sarà un concept basato su una storia diversa, più reale.
R.: Quanto materiale hai composto?
J.: Credo tredici canzoni, il disco ne conterrà diciotto e io canterò anche alcune di queste (oh sì…grazie Jon! ndr). Interpreterò il ruolo di un drogato su un paio di brani. Entreremo in studio non appena tornerò dal tour con i Jon Oliva’s Pain.
R.: Mentre, progetti con Chris Caffery o date live con la Trans Siberian Orchestra?
J.: No, ti dirò. Né con Chris né con la TSO per quanto riguarda i live. Conciliare gli impegni di tutti è praticamente impossibile. Se posso dirtela in modo diretto la Trans Siberian Orchestra è il mio lavoro, e questo che vedi ora, è il mio amore, la mia vita. Avrei potuto suonare live con la TSO ovviamente, vedere il Madison Square Garden stracolmo, ma ho fatto una scelta diversa. Scrivere per la TSO mi piace, mi fa vivere economicamente e dà sfogo a lati della mia creatività musicale. Ma i Jon Oliva’s Pain (oppure i Savatage senza gli altri…ndr) sono quello che amo davvero, che mi dà grandi soddisfazioni!
R.: Perfetto, Jon io ho finito e ti ringrazio infinitamente per la disponibilità e per la simpatia. E’ stato un onore a dire poco! Vuoi salutare i nostri lettori?
J.: No, no, grazie a te! E grazie a tutti voi che ci seguite e ci supportate. Come sai amo l’Italia, il mio paese d’origine e tornare qui è sempre un’emozione difficile da spiegare. Come dicevo anche a Rig, con cui so che hai un tributo ai Savatage, gli Strange Wings (e lo ha detto davvero…grande Jon!), per me suonare in Italia è qualcosa di speciale, i miei genitori sono italiani e anche se io sono stato qui principalmente grazie alla musica, arrivare in Italia è come tornare sempre a casa!
Lunga vita al Mountain King.
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