Freschi di un album frizzante ed energico come "Light Of A New Day", i meneghini Myland si apprestano a scambiare quattro chiacchere con noi di Holymetal.com per parlare nel dettaglio della nuova opera e discutere di argomenti di diverso tipo, argomenti che questa band ricca di passione sembra tenere particolarmente a cuore. Lasciamo quindi a loro uno spazio meritatissimo, scaldato dal forte spirito Rock/AOR che li contraddistingue.
Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Holymetal.com! Vi andrebbe di introdurre i Myland ai nostri lettori?
Innanzitutto un grandissimo GRAZIE a voi di Holymetal.com per l’ospitalità e lo spazio che ci dedicate! Myland è un progetto che è partito anni fa nel soggiorno dell’abitazione di Paolo Morbini, drummer sopraffino dalla musicalità incredibile che, insieme al grande vocalist Guido Priori, ha messo mano al primo CD solista dello stesso Paolo del 1993 (il cui cantato era in Italiano) cambiandone radicalmente testi e linee melodiche per adattarlo alla nuova veste anglofona: questo il processo che ha portato alla realizzazione del primo vero lavoro uscito sotto il monicker Myland, ‘the Time is Over’.
Il lusinghiero responso ha fatto sì che gli entusiasmi fossero giustamente cavalcati portando lo stesso gruppo di lavoro, coadiuvato da un manipolo di musicisti davvero fenomenali, alla realizzazione del leggendario No Man’s Land nel 2008, una pietra miliare in campo melodic hard rock. Tutto sembrava pronto per lanciare il nome Myland nello spazio sull’onda di recensioni entusiastiche che arrivavano da tutto il mondo. A quel tempo io ero appena entrato nella band per sostituire il chitarrista appena fuoriuscito, ma dopo una sola data live in Germania (peraltro indimenticabile) e pochi mesi di assestamento per affinare il nostro sound, ci siamo improvvisamente trovati in due: Paolo ed io, con la necessità di rimettere in piedi in fretta una band che volevamo tenere in vita a tutti i costi… Anche perché l’etichetta Giapponese King Records era interessata a No Man‘s Land, alla condizione che fosse presente un inedito rispetto alla versione europea. Inedito che non avevamo e che dovevamo scrivere ed arrangiare praticamente su ordinazione! Non ci siamo dati per vinti, quindi, ed abbiamo subito reclutato Davide Faccio alle tastiere (eccezionale musicista oltre che grande amico di sempre) e Fabien Andrechen, bassista poderoso e figura molto nota in ambito metal qui da noi avendo militato in formazioni storiche di primo livello. Era il Novembre del 2008, e con questa formazione abbiamo registrato la bonus track ‘When the love is gone’ con il già dimissionario Guido Priori alla voce. Immediatamente dopo abbiamo accolto nella band il bravissimo Franco Campanella - ricordo che quando ho ascoltato il suo provino ho detto: ‘Prendiamo lui! Non ne voglio sentire altri!’ Da Gennaio 2009 ad oggi la lineup non è più cambiata, segno che siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda nel condividere ambizioni e progetti. Abbiamo lavorato duro, suonando tanto, mettendoci sempre alla prova, scrivendo, arrangiando, progettando, e soprattutto creando una bella alchimia tra di noi, una cosa che credo si noti parecchio on stage… e il risultato di questo duro lavoro ora è sotto gli occhi di tutti sotto forma di CD: ‘Light of a new day’!
Ecco parliamo appunto di "Light Of A New Day", album molto ben curato e che colpisce dritto nel segno. Com’è avvenuto il processo di realizzazione del disco?
E’ stato tutto molto spontaneo, nel senso che le coordinate del Myland–sound non sono mai state messe in discussione: la nostra musica doveva continuare ad essere potente, decisa, trascinante ma anche melodica e raffinata nelle soluzioni, con l’ambizione di suscitare sentimenti positivi, pur senza rifuggire la profondità. Questa direzione poi è stata arricchita dal background personale di ognuno di noi, ed è proprio il contributo portato da ciascuno di noi, sia dal punto di vista compositivo che a livello di puro stile esecutivo, a costituire la vera essenza di ‘Light of a new day’, un album nel quale siamo riusciti catturare la grinta, la rabbia e l’esplosività delle nostre esibizioni live. I Myland che senti sul disco sono esattamente gli stessi che senti on stage! Un sound raffinato, ricercato, ma al tempo stesso assai diretto, molto rock, basato sugli ormai famosi intrecci chitarra/tastiere e supportato da una sezione ritmica potente, splendidamente amalgamata e sempre ricca di sorprese. Tutte coordinate sonore che si sposano molto bene con la vocalità bluesy e graffiante del nostro Franco Campanella, responsabile di una performance di livello altissimo.
Per la realizzazione del disco provavamo con regolarità svizzera: 4 ore, una volta a settimana! Non sembrerebbe tanto, ma il clima di lavoro era talmente buono che praticamente alla fine di ogni session avevamo un brano nuovo registrato con il nostro fedele handy-recorder. Si partiva magari da un riff, da un ritornello appena accennato, o da una breve sequenza d’accordi al pianoforte e il resto veniva via in modo molto naturale. Non dico che non ci siano state discussioni, ma neppure sterili prese di posizione, questo davvero mai! In 20 settimane circa avevamo pronti tutti i provini, e abbiamo dedicato i successivi due/tre mesi al lavoro sui cori e sulle linee melodiche (fondamentali per il nostro genere), mentre il mese e mezzo successivo è stato dedicato al finetuning finale degli arrangiamenti, obbligati, incastri, soprattutto basso-batteria-chitarra, quando richiesto. Nel frattempo era iniziato anche il lavoro definitivo sulle lyrics. Ovviamente molte cose sono poi cambiate quando siamo entrati in studio, ma per il meglio, visto che nel frattempo ci eravamo resi conto che in alcuni casi si poteva osare ancor di più!!
Nella tracklist convivono brani sotto l’insegna del rock ma comunque di diverso approccio e influenza musicale, dalle veloci rasoiate alle ballad più evocative. Voi a quale di questi aspetti vi sentite maggiormente vicini?
Domanda molto interessante! Devo ammettere che riascoltando il disco mi rendo conto di quanto questo rappresenti al 100% il mio playing, il mio gusto, il mio modo di intendere il rock in ognuna delle song presenti, da quelle più classiche a quelle più sperimentali. E credo che questo feeling sia condiviso da tutti i miei compagni di viaggio. Posso però raccontarti un aneddoto… quando ci siamo ritrovati in sala prove per preparare la set list per i prossimi concerti, al momento di suonare e cantare i due lenti abbiamo constatato come quella tipologia di brano, caratterizzata da spazi molto ampi e da dinamiche molto accentuate sia decisamente insidiosa! La concentrazione richiesta è tantissima. Scherzando tra noi ci siamo detti: ‘Ammazza com’è dura fare le cover dei myland!’ ahahahahahahaha…. Battute a parte, credo che la ‘tesi di laurea’ per un rockettaro sia proprio quella di suonare ogni canzone con il giusto timing, il giusto relax, le giuste dinamiche, indipendentemente dalla sua velocità o potenza. Da questo punto di vista posso dirti che i brani che ci hanno dato più filo da torcere, al di là dei due lenti, sono stati sicuramente ‘Hey You’ (dura non tendere a correre quando suoni uno shuffle mid-tempo così trascinante), "Love Hurts so Bad" e "Fire Burn Desire", per via della coordinazione tra parti vocali e strumentali. Detto questo, per quanto possa essere impegnativo, la soddisfazione che provi quando cominci a sentire che fluiscono via come si deve, esecuzione dopo esecuzione, è semplicemente impagabile.
Negli ultimi anni sembra che molte band stiano particolarmente attente alla produzione del disco anzichè all’effettiva qualità della propria musica. Voi avete avuto una buona produzione ma ascoltando "Light Of A New Day" si nota subito che la parte del leone la fanno le vostre composizioni. Cosa ne pensate a riguardo?
Quello che dici mi fa molto piacere e mi riempie d’orgoglio per le scelte che abbiamo fatto! Grazie davvero.
In effetti la tecnologia ha fatto ormai passi da gigante. Con una spesa molto contenuta e una buona dose di gusto si possono ottenere delle registrazioni che una volta non erano neppure ipotizzabili se non a fronte di budget milionari. Questo è un bene, ma è anche un pericolo, perché suggerisce l’idea, sbagliata, ovvio, che la confezione finale sia più importante della sostanza. Mentre personalmente le metterei sullo stesso piano. Una produzione cromata nulla può se mancano le composizioni. Viceversa è un delitto produrre male un album che ha dalla sua un songwriting fresco ed ispirato, perché si rischia che venga ingiustamente ignorato da chi ha ormai orecchie viziate da produzioni avveniristiche. La composizione di Light of a new day è avvenuta in saletta prove, con scambi di opinione in tempo reale e non con scambi di file a distanza. Per le registrazioni abbiamo usato ampli veri, microfoni e tastiere analogiche… alla vecchia maniera, ma il risultato ottenuto ci fa dire che lo rifaremo ancora. Sicuro. I dischi si fanno così se si vuole catturare l’essenza live di una band. A mio modo di vedere non c’è proprio alternativa. Finite le registrazioni, allora sì, ti devi mettere in mano a dei professionisti del suono che riescano a valorizzare al massimo quanto tu hai prodotto, ed è quello che abbiamo fatto affidandoci a Marco Barusso e a Marco D’Agostino, due autentici sound-guru, che hanno fatto un lavoro strepitoso in sede di missaggio e master. Ma è chiaro che senza delle buone canzoni, il bluff di una ottima produzione è fin troppo facile da vedere. Per fortuna è ancora così!
Di cosa parlano i vostri testi? avete mai pensato di trattare dei temi socialmente utili?
L’album, pur non essendo un vero e proprio concept, prende in esame gli aspetti più conflittuali e difficili della vita, legandoli al concetto di rinascita, inteso come riemersione da un periodo buio, un periodo nel quale era stata smarrita la direzione, la coscienza di quel che si era. Non è dedicato a qualcuno di particolare o ad una categoria di esseri umani ben definita, vuole piuttosto essere uno spunto per la riflessione di ognuno di noi, su noi stessi e sugli altri. Tengo subito a precisare che il messaggio che noi cerchiamo di lanciare, dal nostro piccolo, è molto positivo, ma anche realista: non vogliamo illudere nessuno, ma per quanto drammatica sia la situazione di cui stiamo parlando, c’è sempre una luce in fondo al tunnel, una luce che indica che la soluzione spesso è lì e dipende semplicemente da un cambio di attitudine che tardiamo ad attuare. Per descrivere questo feeling ci siamo focalizzati principalmente sugli aspetti relazionali più importanti per l’essere umano: l’amore, l’amicizia, gli affetti più intimi come quelli familiari, anche e soprattutto quando questi portano più guai che gioie. Del resto sono proprio quel tipo di disavventure a rivelare meglio di molte altre considerazioni di che pasta è fatto un essere umano, quando a queste si trova a dover reagire.
Il 2010 è stato un anno molto duro per alcuni di noi, dal punto di vista personale, e per riflesso lo è stato per tutti. Nella band c’è stato un forte spirito di compartecipazione. E i testi dell’album riflettono questa visione drammatica ma non pessimista nei confronti della vita: lo sappiamo, è dura, ma non ha senso soccombere, meglio combattere, no? ‘Light of a new day’ può essere visto in generale proprio come un appello a ritrovare la serenità necessaria e a riprendere il controllo della propria vita, o a guardare al futuro concentrandoci su quello che abbiamo ora e a non disperdere le nostre energie inseguendo quello che non avremo mai. Probabilmente questo, dati i tempi in cui viviamo, è già un messaggio socialmente utile. In ‘Shattered Dreams’ o in ‘Never Care’ non facciamo riferimento alla droga (di cui si parla poco, ma è una piaga tutt’altro che debellata), ma il messaggio va sicuramente anche in quella direzione. Ripeto, non è esplicito, ma il riferimento sociale c’è.
Traducendo alla lettera Myland si ottiene "la mia terra". Quanto sono importati per voi le vostre radici?
Se ci soffermiamo a riflettere su quanto ha fatto l’Italia, come governo e come istituzioni, per il nostro genere musicale, o per chi comunque si sforza di produrre musica originale, beh… c’è davvero poco da essere riconoscenti verso la ‘propria terra’. Sappiamo bene come tutto il mercato musicale, a qualsiasi livello, venga gestito secondo logiche che con la meritocrazia hanno poco a che vedere. Poi ci sono le realtà underground, le etichette indie, le web-zine, il popolo degli appassionati. Queste sono le realtà grazie alle quali in Italia abbiamo ancora tante band che ci credono e che puntano alto. Non solo, il livello qualitativo generale del rock (termine che intendo qui in senso assolutamente lato) qui da noi si sta alzando sempre più, segno che il livello di maturazione dei musicisti italiani è giunto ormai ad un punto tale da permetterci di competere senza timore con i nomi esteri più blasonati: metteteci sullo stesso palco con loro! Dateci la possibilità di far vedere chi siamo ad armi pari!
La spiegazione del nome Myland è tuttavia un’altra, ed implica, grazie ad un giochino di parole, un legame con la città di Milano, che per tutti è casa nostra, almeno musicalmente. In tedesco infatti Milano si scrive e pronuncia Mailand. Uguale pronuncia l’avrebbe però un inglese residente nella Black Country anche se per lui quella parola avrebbe un altro significato, la mia terra, e un’altra grafia Myland. Di qui l’idea di usare un nome chiaramente inglese, ma dal significato, almeno in questo caso, ambivalente. Un nome che in un certo senso attesta la nostra riconoscenza verso la musica proveniente sia dal mondo anglosassone che da quello tedesco. Il tutto passando per Milano, a cui ci sentiamo senz’altro molto legati, considerato che è grazie a questa città che abbiamo incrociato le nostre storie e deciso di fare musica insieme.
State pianificando qualche data live per supportare la release?
Certamente! Suoneremo il più possibile, soprattutto nel nord Italia, dove dal punto di vista organizzativo abbiamo maggiori possibilità; forse organizzeremo ancora qualche festival sulla scia dei Gods of AOR realizzati in passato. Poi sicuramente torneremo in Germania per qualche showcase nelle più importanti città del paese, per la gioia della nostra etichetta di distribuzione Point Music di Monaco, che davvero non vede l’ora di presentarci ai suoi connazionali. E poi a Giugno torneremo nuovamente in Bosnia a Banja Luka, per l’edizione 2011 di uno splendido festival rock open air della durata di tre giorni tenuto all’interno delle mura di una fortificazione romana di circa 2000 anni fa! Ma siamo davvero solo all’inizio, se le cose dovessero prendere piede come ci aspettiamo avremo parecchio da suonare e noi ovviamente non ci tireremo indietro. Per tutti i dettagli della nostra attività live vi invito a consultare le nostre pagine web: www.mylandmusic.com e www.myspace.com/mylandrock
Quanto è difficile per voi trovare spazio essendo un gruppo che propone un genere non propriamente raro da sentire?
In senso assoluto è difficilissimo, ma questo lo abbiamo sempre saputo. Vivere di musica è complicato, a volte frustrante ed avvilente (come tutti i mestieri), ma avere successo con una rock band, che praticamente è il sogno di chiunque in gioventù abbia imbracciato uno strumento, è pura utopia.
Se poi suoni un genere come l’AOR o l’hard rock o il metal, tutti stili musicali che in Italia neppure ai bei vecchi tempi - parlo di fine anni 80, inizio 90 - sono mai riusciti a scalfire il dominio del mainstream… beh, meglio prenderla con filosofia e pensare ad avere almeno le famose soddisfazioni personali: concerti in bei posti davanti a gente che canta i tuoi pezzi a memoria, buone recensioni da tutto il mondo, amici orgogliosi di te e di quello che fai pronti a seguirti e a supportarti ovunque… Poi se proprio deve succedere qualcosa, succederà, no? ;-)
Per rispondere meglio alla tua domanda, certo, ci sono i posti in cui riusciamo a suonare, e alcuni di questi sono anche molto ben attrezzati per i concerti rock, ed è fantastico quanto i gestori di questi locali fanno nonostante tutte le difficoltà, per sostenere le band che propongono esclusivamente materiale originale! Non arrendetevi mai, ragazzi! Contiamo tutti su di voi!
Essendo questo un sito incentrato sul metal vi chiedo se, oltre alle vostre influenze ben percepibili, c’è qualche band di questo scenario che vi ha segnato particolarmente.
Sicuramente il metal classico è nel DNA di tutti noi. Ascoltiamo ancora con gran piacere band come Black Sabbath, Judas Priest, Saxon, Dio, Accept, ma anche roba ultratosta come gli Exodus o i Pantera! Ogni tanto anche a noi fa piacere sentire qualche scossone di quelli giusti lungo la schiena!
Ok ragazzi siamo in chiusura, ringraziamo i Myland per la disponibilità e vi lasciamo queste ultime righe per salutare i nostri lettori, con la speranza di rivedervi presto sulle nostre pagine.
Innanzitutto grazie infinite a voi di Holymetal.com per il meraviglioso lavoro che state facendo. Competenza, passione, domande bellissime! E’ stato un vero piacere passare del tempo con voi! Keep it up!!!
Un saluto speciale anche ai vostri lettori, vero carburante di ogni iniziativa vincente. Mi capita spesso di parlare con gli appassionati a fine concerto e resto sempre colpito dall’amore che dimostrano per la musica, un amore autentico, senza ricatti, senza ipocrisie o secondi fini! Questo è il nostro carburante!
"Light of new day" è dedicato a tutti voi! You rule!!
Siamo alla ricerca di un nuovo addetto per la sezione DEMO, gli interessati possono contattare lo staff di Holy Metal, nel frattempo la sezione demo rimane temporaneamente chiusa.