Il tanto discusso "The Art Of Dying” sembrava potesse essere l'album che segnava l'inizio di una fase discendente nella carriera dei cinque thrashers di San Francisco.
Ora, dopo quattro anni di attesa i Death Angel tornano con un album che, prepotentemente, spazza via anche le malelingue dei più scettiti e si candida ad essere uno dei migliori lavori dell'anno appena iniziato.
Già il titolo è enigmatico, con "Killing Season", la band americana sembra voler dirci che il tempo passa per tutti, mentre per loro è sempre stagione di caccia. E se i Death Angel fanno una dichiarazione d'intenti di certo non la fanno per dar aria alla bocca.
Nonostante siano parte integrande della leggendaria Bay Area, il loro sound è sempre stato unico e inimitabile, il loro thrash metal è al contempo violento e melodico (increbile a dirsi eh?). Insomma c'è il sound Bay Area e il sound Death Angel.
La opener di questo nuovo album, "Lord of Hate", ce lo ricorda e fuga, immediatamente, ogni dubbio sulla salute del combo statunitense: un intro con chitarre acustiche è spazzato via dall'urlo del mai domo Mark Osegueda, accompagnato dal riffing dinamico e potente della chitarra di Rob Cavestany, autore di una prova che è quasi sminuente definirla maiuscola.
Undici pezzi, carichi di aggressività, ci fanno sbattere la testa per quasi cinquanta minuti, e bastano un paio di ascolti per avere i ritornelli stampati in fronte, con il marchio Death Angel annesso. Difficile cercare il pezzo migliore quando il livello medio è decisamente elevato, ma personalmente eleggo "Carnival Justice" perchè può racchiudere dentro di sè tutte le caratteristiche portanti di "Killing Season": sezione ritmica imponente, riff spietati e assoli "mostruosi"....
Dimentico niente???
Ah si...lui, il frontman, Mark Osegueda, capace di far fuoriuscire da dentro di sè una voce quanto mai rabbiosa, ma di saperla calmare sulle parti melodiche e pulite.
Spiace quasi dirlo ma senza un cantante con un tale carisma, forse, non saremmo qui a parlare di capolavoro del thrash moderno: è Mark il vero cacciatore.
Recensione di Dimitri Borellini
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