I PlanetHard si presentano agli amanti della musica pesante con il loro primo e sorprendente disco, intitolato “Crashed on Planet Hard”. E già dal primo ascolto è proprio di schianto che si deve parlare: il quartetto guidato da Marco Sivo (già singer di Time Machine e Valas) propone dieci pezzi che mettono in risalto da subito quanto questo full-lenght nasconda dietro di sé una lunga ma quanto mai redditizia gavetta. Il disco si apre con un riff di banjo (geniale!) che lancia la potente “You Know Who You Are”, i cui cori richiamano i migliori House of Lords di Sahara, per lasciare poi spazio alla catchy “Unchain my Heart”, dal ritornello facilmente ricordabile. Le ritmiche e i soli di chitarra di Marco “Dandy” D’Andrea (meraviglioso il suo assolo sull’immancabile ballad “She”) ben si accompagnano alla voce di Marco Sivo, autore di una prestazione sorprendente, per un’accoppiata perfettamente supportata dalla sessione ritmica di Alessandro Furia al basso e di Stefano Arrigoni, vera rivelazione di istinto ed originalità dietro alle pelli. I PlanetHard hanno il merito di portare una ventata fresca all’Hard Rock, con un sound che sorprende per la sua “americanità” e potenza: un disco che, i Solid Groove Studios di Max Numa, hanno reso ancora più robusto e massiccio grazie alla produzione di Alessandro del Vecchio (leader degli Edge of Forever), qui anche in veste di tastierista e coinvolto in un duetto con il cantante su “Fairy Tale”, ballad molto intima che chiude il lotto lasciando non poche emozioni all’ascoltatore. Durante lo svolgimento dei pezzi appare evidente come il gruppo dimostri di avere imparato la lezione delle band che hanno reso storico questo genere, passando dai Guns n’ Roses ai Badlands, agli Skidrow. Pur scomodando, senza la minima esagerazione, nomi così grossi e rimpianti, è chiaro che i PlanetHard hanno l’ulteriore merito di portare con sé qualcosa di nuovo, di così personale da tirarli fuori dal classico filone che vuole ciclicamente riportare l’hard rock ai vertici delle classifiche. I quattro ragazzi hanno le carte in regola per diventare un nome grosso della scena italiana ed anche estera, ed eventi quali l’opening-act per gli Europe ed il Gods of Metal dello scorso anno sono solo i primi riconoscimenti per una band che merita davvero ampi palcoscenici, vista anche la bravura in sede live. Una menzione speciale va infine fatta a “Kill Me (but first kiss me)”, brano che ammazza l’ascoltatore per la ferocia, celata tra le liriche (ottime in tutto l’album), il cantato e la sessione strumentale: un sonorissimo schiaffone in faccia, come non se ne sentivano da tanto, troppo tempo. Una canzone che, da sola, vale l’acquisto del cd. Non ci credete? Provare per credere. Soddisfatti o….soddisfatti.
Recensione di Riccardo "Rik" Canato
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