E' forse prematuro paragonare Willow, giovane band del lecchese, a gruppi che mi riportano alla mente ascoltando il loro "Perdita del Tempo".
Un pò i Dream Theater, un pò di più forse i Symphony X, ovviamente sono paragoni da prendere con le dovute pinze, la formazione qui presente ha delle buone carte, ma la strada per raggiungere certi livelli è ancora lunga e irta di insidie.
Torniamo al disco che assieme al prog delle band sopra citate ha inserito una buona dose di psichedelia, buona, perché usata solo da contorno più che altro per andare ad enfatizzare il lato magico ed oscuro dei testi, rigorosamente cantati nella lingua di Dante.
Avendo quindi appurato che siamo davanti a musicisti di talento andiamo ad esaminare il disco un pò più da vicino.
Sette sono i brani che lo compongono, articolati, lunghi e complessi, non del tutto comprensibili in tutte le sfumature ad un primo e superficiale ascolto.
Ecco che quindi ripassando più volte "pressurizzazione" emergono gli intrecci di basso e chitarra. Riascoltando il disco rimanendo concentrati sulla batteria troviamo anche qui piacevoli sorprese.
La tastiera, in quanto elemento predominante entra sin da subito nella testa, ma va sempre rivista nel contesto della canzone.
Unica pecca va vista forse nella voce non sempre modulata a dovere, tenuta a mio avviso su tonalità troppo alte per la timbirca del singer.
Servirà comunque poco lavoro ad una formazione di questo tipo per raggiungere livelli ancor più sorprendenti, voce inclusa.
Per ora ascoltiamoci questo "Perdita del tempo" per molti musicisti, anche professionisti, potrebbe essere una buona lezione di musica.
Recensione di Paolo Manzi
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