Era il lontano 1978 quando vide la luce il primo album della band di David Coverdale, allora giovane e talentuoso singer sull'onda del successo coi Deep Purple. Da allora sono passati 30 anni. E proprio in celebrazione di questi trent'anni è stato fortemente voluto questo decimo album nella carriera della band, dai successi degli anni '80 al buio, al ritorno nel '97 con quello che era più un album solista di Coverdale che un vero disco targato Whitesnake, ovvero "Restless Heart". Sono passati altri 11 anni, ed arriva oggi questo "Good To Be Bad", un album che definire maturo è poco, dato che racchiude in sè tutti gli elementi caratteristici che hanno contraddistinto il serpente bianco in passato, tanto da far dire allo stesso Coverdale: "Se questo sarà l'ultimo album in studio dei Whitesnake, allora sono contento di concludere in questo modo".
Scritto e prodotto da Coverdale con la preziosa collaborazione del chitarrista Doug Aldrich (di cui si vede infatti la mano nelle composizioni), questo disco ci riporta indietro di almeno 20 anni, con undici brani di Rock su cui non sembra affatto pesare l'età che avanza. E l'opener "Best Years" dà appunto quest'impressione, aggiungendo una vena nostalgica nel suo rock ottantiano e la pesantezza delle chitarre. Altro brano interessante, grazie anche agli assoli di Aldrich, è "Can Your Hear The Wind Blow", una boccata di Whitesnake dei tempi che furono, seguito da una "Call On Me" che ci riporta ancora più indietro nel tempo con la sezione ritmica, ma con un ritornello che suona invece più fresco e moderno, mostrando ancora una certa versatilità da parte di Coverdale alla voce.
"All I Want All I Need" è la classica ballad che tanto piacerà al pubblico femminile del serpente bianco, uno di quei brani che sprigionerebbe molta più emozione dal vivo, mentre la titletrack è una traccia accattivante ed irriverente, diretta ed orecchiabile, qualcosa che fa tornare alla mente conl suo rock/blues dischi come "Slide It In" e "Whitesnake", grazie ad una formazione che sembra aver risfoderato lo stesso spirito che questa band aveva vent'anni or sono.
E' più moderna invece "All For Love", dove va segnalato ancora una volta un gran lavoro da parte delle due chitarre, con dei riff che compensano il songwriting qui un pò più carente. La chitarra acustica a fare da sfondo alla voce quasi sussurrata di Coverdale crea invece la giusta atmosfera per "Summer Rain", una semi-ballad intensa che rallenta ancora il ritmo del disco, prima di arrivare ad uno dei pezzi più particolari, "Lay Down Your Love". Decisamente più rocciosa, è un brano che ha carattere, e tira fuori un altro lato interessante del cantante inglese, che dimostra di sapere ancora il fatto suo, supportato da degli ottimi assoli e dei riff mozzafiato che danno al tutto un aspetto dannatamente heavy! L'ideale in sede live.
Molto più forte la componente blues in "A Fool Of Love", canzone che richiama i primissimi lavori della band con un occhio anche a soluzioni più moderne, con un risultato intrigante. "Got What You Need" vivacizza l'ascolto grazie alla velocità più sostenuta del suo ritmo, con un buon lavoro di Frazier alla batteria, e restituisce nuovamente sonorità dal sapore antico, con un Coverdale che sembra un ventenne. La conclusione del disco (l'ultimo?) dei Whitesnake, è affidata alla ballad "'Til The End Of Time", un testo malinconico per una canzone nostalgica dalle tinte folk, che si rivela perfetta per chiudere quest'album.
Dopo tutto il tempo che è passato si riesce ancora a vedere in questo "Good To Be Bad", quello spirito che ha contraddistinto i lavori della band degli eighties, ed è dovuto alla volontà del suo carismatico cantante, che negli ultimi anni ha avuto modo di cementare il rapporto con questa line-up durante i lunghi tour, raggiungendo così un'intesa che ha portato a risultati molto soddisfacenti. Quest'album non aggiungerà nulla di innovativo, ma va ad impreziosire una discografia di tutto rispetto con dei brani senz'altro degni dei suoi predecessori. Magari non una ventata d'aria fresca, ma comunque è altra carne di buona qualità da mettere al fuoco (ok basta con le metafore..).
Recensione di Marco Manzi
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