Quattro anni, tanto abbiamo dovuto aspettare per il nuovo album degli Haggard, quattro anni dove Asis Nasseri e compagni hanno lavorato per quest’album, tanto atteso e tanto sudato.
Anche qui ci troviamo davanti ad un concept album ma, se per le opere precedenti abbiam avuto tematiche storiche (Nostradamus e Galileo Galilei), qui ci troviamo davanti ad un concept totalmente partorito dalla mente del geniale Asis, che ci vuol raccontare la storia delle lande di Ithiria, con le sue lotte tra il bene e il male.
Vari i musicisti ospiti in quest’album, tra cui voglio sicuramente ricordare Mike Terrana, stavolta non impegnato dietro le pelli, ma in veste di narratore della storia.
Ma come suona Tales Of Ithiria?
Non è un album facile da capire, anzi, di prima impressione lascia spiazzati e necessita di vari e attenti ascolti per essere apprezzato appieno, tant’è che, più lo faccio girare, più mi piace e posso tranquillamente affermare che ne è valsa la pena di tutta questa attesa.
Il disco mantiene il livello dei suoi predecessori, pur scegliendo alcune soluzioni musicali differenti, marcando molto le componenti teatrali e dando un imponenza propria delle saghe fantasy a tutta l’opera.
I brani dell’album risultano particolarmente corposi e ancorati ad un tappeto sonoro particolarmente riuscito, un connubio di metal sinfonico, atmosfere oscure, musica classica, intrecci vocali da pelle d’oca con le soprano e il growl di Asis, il tutto corredato da parti di batteria e chitarre da vero e proprio headbanging.
Le canzoni vere e proprie sono intervallate da parti narrate, che spiegano ancora meglio la storia che si cela dietro all’album, così troviamo, dopo l’intro di presentazione, l’epicità della titletrack, dove come al solito le parti classiche si fondono a meraviglia con gli strumenti più tradizionali del metal.
Un nuovo intermezzo e la quarta traccia, “Upon fallen Autumn Leaves”, ci fa subito scapocciare per bene, intervallandosi con momenti più barocchi, dove troviamo in gran risalto le voci più classiche delle soprano e dei cori, e di nuovo chitarroni belli pieni.
Andiamo avanti fino alla sesta traccia, forse quella con meno parti veloci del lotto, ma per questo non meno bella, anzi, i momenti dove il cantato volge all’italiano sono da pelle d’oca, ne “La Terra Santa” grande risalto agli strumenti classici e alle varie voci, dalla profondità del buon Asis ai picchi delle voci femminili, rimarcando ancor di più la grandiosità del disco.
Arriviamo poi, dopo l’ennesima parte narrata, a quella che forse è la mia preferita dell’intero disco; “The Sleeping Child” ha fatto gran colpo in sede live (nota: seguiti in tour per 5 date), un inizio subito tirato con cavalcate ritmiche di doppio pedale e chitarristiche su cui la voce di Asis si mette in grande spolvero, il tutto intervallato da momenti più corali, fondendo così anche qui gli elementi che contraddistinguono gli Haggard nel panorama metal odierno.
A seguire una piacevole cover “Hijo De La Luna”, gia dei messicani Mecano, qui a voler omaggiare i tanti fan che il gruppo tedesco ha in America Latina.
Il disco volge al termine, dopo un altro intermezzo narrato, con la bella “The Hidden Sign”, con le sue parti orchestrali molto marcate e i continui cambi di tempo; anche qui grande lavoro in produzione, curatissima, a rendere anche questo un grandissimo brano di casa Haggard.
Concludendo l’ascolto del disco , vien voglia di riascoltarlo di nuovo, per coglierne nuove sfumature, però voglio ribadire di nuovo, la non facile assimilazione al primo ascolto.
Produzione praticamente perfetta e curata nei più minimi dettagli, moltissimi strumenti che coesistono in maniera ottimale, grandi parti vocali come da tradizione Haggard per brani che non stancano mai nonostante la durata che si attesta quasi sempre elevata.
Per chiudere, forse un disco troppo breve, ma, se vi piace il gruppo, e vi piacciono queste sonorità, lo adorerete sempre di più, anche se forse sono un po’ di parte.
Recensione di Marco Brambilla
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