Per recensire il nuovo album dei Candlemass, decimo in studio, basterebbe dire che la sua bellezza è inversamente proporzionale a quella della copertina, che, come potete notare anche voi, è alquanto una ciofeca, ma, I Doomster svedesi non hanno mai avuto bisogno di apparire per dimostrare la loro supremazia, anche se ci avevano (20 anni or sono) abituato a ben altre covers.
Dopo questa nota puramente di contorno, è ora di parlare dell'ennesimo capolavoro uscito dalla penna tormentata del leader Leif Edling, autore di otto tracce veramente una più bella dell'altra, aiutato dai soliti noti più l'ormai consolidato Rob Lowe, singer dei Solitude Aeturnus, al secondo full coi Candlemass, inframezzati dal mini "Lucifer rising".
"Death magic Doom" parte stranamente con una up tempo, quale "If I ever die", che colpisce al cuore l'ascoltatore sia per le ritmiche che per le disperate liriche recitate dal cupo Lowe, segue "Hammer of Doom", manifesto di un genere, sul quale aleggia il fantasma di "Black Sabbath" (la canzone!), grazie ad un riff sinistro, premonitore del macigno che cade sul malcapitato ascoltatore all'arrivo del ritornello.
Avanti tutta con l'altrettanto suggestiva "The bleeding baroness", calzante pezzo sulla Contessa Bathory, che, con un mid-tempo sostenuto ma asfissiante, descrive le efferatezze commesse a suo tempo dalla nobile psicopatica.
L'arpeggio in clean di "Demon of the deep", alternato ad un riffone quasi psycho-Doom, accompagna un'ulteriore grande prestazione di Rob, che per l'occasione va a cogliere le evocative tonalità alte con le quali ci aveva viziato, in particolare sui primi dischi dei Solitude Aeturnus.
Classico brano Doom la successiva "House of 1000 voices", abbastanza orecchiabile e lineare, con dei solos azzeccati ma, che si fa apprezzare ancor di più per un testo degno di una trama da film Horror anni '70, con demoni, morti ammazzati e quant'altro.
E' la volta di un altro brano memorabile quale "Dead angel", tirato, per i canoni del quintetto svedese, ma nel quale addirittura appare un refrain pieno di luminosa speranza, che ispira le stesse emozioni del finale di "Samarithan" per intenderci.
Al contrario dell'incalzare nebuloso di "Clouds of dementia", spessa e scura come la nera bruma, nella quale perdersi definitivamente durante i mortiferi bridge di chitarra, da segnalare anche qui un altro azzeccatissimo ritornello che ti si appiccica in testa, parlando di Doom ovviamente!
"My funeral dreams", ottava e ultima traccia, si apre con un arpeggio tremulo, tenuto a bada da Lowe, prima di cadere in un vortice mortale, trascinati tanto dalle rime lamentose quando dal riff circolare che ossessiona la track.
In definiva si può affermare che i Candlemass hanno snellito alquanto il loro songwriting, perdendo magari quella componente epica, forte anche in "King of the grey island", ma regalandoci emozioni tristi e spaventevoli letteralmente a palate, sapendo trasmettere da par loro il significato di ogni singola nota e verso.
Grandiosi sul trono del Doom, cambiando e mai autocitandosi!!!
Recensione di Alessio Aondio
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