Che negli ultimi anni l'heavy metal italiano sia cresciuto sia a livello quantitativo che
qualitativo ormai lo sanno anche i sassi. Quello che forse non tutti sanno è il grande
ruolo giocato dalla provincia di Bergamo con bands del calibro di Thunderstorm, Folkstone e
Aleph.
Anche i Los Pirates, attivi dal 2001, hanno avuto una lunga militanza nella scena
underground bergamasca specialmente a seguito dell'uscita di un demo nel 2003 che ha aperto
al quintetto la strada per numerose esibizioni live.
Ci sono voluti parecchi anni, ben sei, per far si che i Los Pirates pubblicassero il debut
album, un full length di sette tracce (più intro) di true pirate metal (...in barba agli
scozzesi Alestorm!) in cui la band ha racchiuso tutte le influenze con il quale si è man
mano delineato un sound personale e bend calibrato in ogni parte.
Una solida base di classico heavy metal fortemente condizionato dalla NWOBHM ed
impreziosito da guitar solos e cambi di tempo "presi in prestito" dal progressive rock anni
'70.
Scordatevi quindi qualsiasi assonanza con il power metal teutonico quadrato dei Running Wild
con i quali la ciurma bergamasca ha in comune solo lo stendardo raffiugurante il
terrificante Jolly Roger.
Un'intro non troppo raffinata, ma che ricorda molto la colonna sonora dei primi due episodi
della fortunata avventura grafica sui pirati "The Secret of Monkey Island", accompagna
l'ascoltatore alla prima vera a propria traccia "Coast of the Caribbean", brano lento e
candenzato dalle sfumature epiche. Invece di aumentare il ritmo la successiva "Timless
Dreams" rallenta ancor di più sconfinando in un epic doom influenzato pesantemente dai
Candlemass.
La band si dimostra abile a non snaturare completamente in un genere o
nell'altro mantenendo una solida base heavy che, in questo caso, esplode nella seconda
parte della canzone.
Più diretta è invece "The Return of Captain Woodhead" che si candida come brano più
interessante da proporre in sede live, grazie a delle ritmiche trascinanti ed a cori che
inframezzano la voce di Andy Brevi.
"My Friend the Slave" può invece essere considerato come il pezzo più completo del platter,
quello che racchiude in cinque minuti, tutta l'essenza dei Los Pirates passando da una
ritmica heavy a raffinati intrecci di chitarra ed impreziosito da un duetto con la female
vocalist Anastasia Shalasheva.
Prima di tornare a middle tempos di "We Declare" il quintetto si concede anche una fuga nel
rock 'n roll con "Pirate's Island" per poi concludere alla grande con un "Another Empty
Bottle" ricco di quei richiami progressive di cui si parlava all'inizio con qualche
richiamo ai Rage di "Soundcasher".
"Heavy Piracy" consacra senza ombra di dubbio la nascita di una nuova stella nel firmamento
del metallo tricolore, un tricolore segnato dal marchio dei Pirati!
Recensione di Paolo Manzi
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