Il gruppo in questione trova le sue radici in un tempo non proprio recentissimo, infatti i primi lavori che sono stati pubblicati risalgono agli anni settanta. In quel periodo erano tra i maggiori esponenti del progressive rock, come del resto è reso evidente anche da questo disco. Il titolo dell’album è dovuto al chitarrista Stan Whitaker durante la composizione dei primi pezzi; le melodie gli venivano in mente allo stesso modo in cui un ruscello scorre, allora ha pensato: “Oh, la musa si è svegliata”.
Il disco si apre con “Contemporary Insanity”, un pezzo in 10\8 che svela definitivamente il carattere prog del disco e forse addirittura ostentandolooltre il limite dell’utilità.
Segue una tranquillissima e rassicurante “The Muse Awakens” caratterizzata da suoni molto morbidi e calibrati. Si tratta di un pezzo molto atmosferico che quasi contrasta col precedente.
La terza “Stepping Through Time” rispetta il finale della title track, mantenendo i toni smorzati. Il tema portante è introdotto dal piano sul quale si adagia prima un flauto ed un lieve tintinnio sui piatti della batteria che poi si evolve in un ritmo articolato ed adeguato al pezzo. Anche la chitarra entra sommessamente e poi la tastiera con un effetto quasi psichedelico. Verso il quinto minuto l’aria si fa più pesante per poi giungere ad un calo improvviso.
“Kindred Spirits” si mantiene sulle stesse linee dei due pezzi precedenti senza riservare sorprese.
Il titolo “Lunch At The Psychedelicatessen” suggerisce un tema quale “Discernimenti di un folle” o cose simili ed infatti è un pezzo tutt’altro che canonico che presenta atmosfere che vanno dalla sala da ballo tipica degli anni ’40 a tratti ambient fino a parti veramente molto prog, troppo prog se prese in un contesto diverso.
“Slipstream” ci riporta sul pianeta terra anche se al crepuscolo e con un po’ di foschia. Molto pacato, come i pezzi seguenti all’opening track, ma con un gusto più classico, quasi da colonna sonora.
“Barking Spiders” è una netta cesura con ciò che è stato in questi ultimi tratti, si ricollega invece alla quinta traccia per il carattere visionario dei temi, non è troppo piacevole da ascoltare per l’indecifrabilità di un filo conduttore che attraversi il pezzo.
“Adrift” torna triste, malinconica e in partenza fredda, se non fosse per il suono molto caldo del sax che se da una parte scalda i toni, dall’altra rende il tutto stranamente irreale, quasi il pezzo venisse suonato in una stanza vicina da cui le note permeanofiltrate.
Come una continuazione naturale del pezzo precedente giunge “Shadowlites”, che però è più corposa ed anche primo ed unico pezzo cantato del disco. La voce viene mantenuta ad un volume sommesso, quasi a voler rimanere una presenza discreta.
La decima “Maui Sunset” si apre con i suoni del mare ed il fischio cupo di una nave, sembra quasi che il mare sia sempre stato presente in tutte le tracce, forse per l’ effetto subliminale della copertina, che riporta per l’appunto una foto marittima. Il pezzo non aggiunge novità ecclatanti, ma rimane comunque piacevole da ascoltare per le diverse sfumature che si possono cogliere.
Il disco si chiude con “Il Quinto Mare” che inizia con lo stridio dei gabbiani che però non si trova molto d’accordo col piano in stile Van Halen (andate a sentirvi “Right Now” ). Il continuo si reimpadronisce delle caratteristiche progressive, stavolta senza abusarne. Il risultato è un pezzo che contiene in se un’ottima miscela di tutti i tratti del disco, seppure in sintesi. Eccede nella durata ed il tema delle melodie forse non è così adeguato al titolo.
In una visione d’insieme il disco risulta organico, è identificabile la mano del compositore in ogni brano, ma senza che ciò mini la varietà dei temi. Tutti i suoni sono evidentemente frutto di un’accurata ricerca che permetta un’ ottima resa di tutte le sfumature, cosa spesso difficile da realizzare. Le caratteristiche più specificamente prog sono forse mal distribuite, infatti alcuni pezzi ne sono intasati, in altri invece è difficile ritrovarle (non che sia un difetto) e proprio questi ultimi sono i brani meglio riusciti. La scelta di aggiungere la voce solo ad un pezzo è forse contestabile, ma certamente quello che risulta essere un esperimento è riuscito molto bene.
Recensione di Lorenzo Canella
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