Chi sta scrivendo non vedeva l'ora di questo momento, di avere tra le mani il nuovo attesissimo disco degli Hypocrisy, una delle poche band che tutt'oggi può avvalersi di essere definitia come originale e portatrice di un sound unico e inimitabile. Chi conosce e ha seguito attentamente il corso della creatura principale di quel genio di Peter Tägtgren, saprà per certo che la sua musica non si limita semplicemente ad esplorare nel panorama dello swedish death più tirato e imbottito a dovere di linee melodiche, lo scavare nell'effetto sorpresa, proponendo ad ogni nuova uscita un elemento che nel precedente album si riscontrava in fase embrionale, o addirittura era totalmente assente, è sempre stato il marchio di fabbrica degli Hypocrisy e soprattutto del suo creatore, portandoci così alla luce lavori rallentati tendenti al doom, altri imbastiti di atmosfere catchy e paranormali, altri ancora più moderni e vicini al suono dei Pain, che oramai non hanno bisogno di presentazioni. Ovviamente anche in "A Taste Of Extreme Divinity" troviamo una naturale evoluzione del suono, il disco potrebbe essere interpretato come un giusto seguito di "Virus", lavoro fortemente melodico vicino ai capolavori "Abducted" e "The Final Chapter", dove, oltre alle chitarre impazzite nello sfornare riff accattivanti, un Horgh incazzato nero sembrava più vicino all'essere un fabbro che un batterista. Quattro anni dopo la formula è si simile, ma non per forza scontata e prevedibile, la band scandinava infatti ha deciso di puntare principalmente sulla potenza dei brani in sè, una potenza intesa maggiormanete come muro sonoro dei riff proposti che come velocità d'esecuzione. Oltre a questo vengono proposti abbondantemente anche i classici momenti atmosferici del passato stellare dei lontani '90, inserendoli a dovere nelle sezioni rallentate, dove a parare mio gli Hypocrisy di oggi danno il meglio, tutto quello che un fan possa chiedergli. Ne viene fuori una tracklist eccellente e molto compatta, nella fase iniziale troviamo i classici attacchi frontali affidati a "Valley Of The Damned" e "Hangh Him High", due dei pezzi più semplici e diretti del platter, a seguire "Solar Empire" da la prima grande dimostrazione del marchio di fabbrica del lavoro, un pezzo cadenzato e tagliente dove i nostri se ne escono con un ritornello accattivante in cui un Peter in ottima forma da il meglio di se dietro al microfono. Sulla stessa cresta d'onda troviamo "No Tomorrow" e "Tamed (Filled With Fear)", episodi ricchi d'atmosfera e di refrain mozzafiato. Ben più massacranti sono invece la semi-titletrack, "Weed Out The Week" e "Sky's Falling Down", quest' ultime, per chi ama gli Hypocrisy, possono essere considerate tranquillamente sulla soglia del capolavoro del volto violento della band. "Global Domination" è invece senza dubbio l'apice dell'ascolto, le linee melodiche e ferrose di un Peter che supera se stesso vanno ad accompagnare un testo culto che sfocia poi nel miglior refrain dell'opera, dando sfogo anche ad uno spezzone atmosferico indimenticabile. Impossibile trovare difetti in questi 50 minuti, se proprio devo penalizzare qualcosa direi che il drumming di Horgh nella parte iniziale risulta leggermente sottotono e meno dinamico che su "Virus", ma tempo una manciata di brani e anche questa pecca si dissolve.
La mia e la vostra pazienza quindi è stata senza dubbio premiata nel migliore dei modi, oltre ad avere tra le mani un disco suonato da veri professionisti e arricchito dalla produzione dei rinominati Abysst Studio, vera e propria garanzia, abbiamo la certezza di essere al cospetto di una band in forma smagliante che non sbaglia mai un colpo, Peter è nel pieno delle sue forze quindi ne vedremo sicuramente delle belle, è forse l'ora di fare tornare gli Hypocrisy in Italia! Per ora godiamoci "A Taste Of Extreme Divinity" che, a parare di chi scrive, è senza dubbio il disco dell'anno.
Recensione di Thomas Ciapponi
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