L'annata estrema prende il volo con il ritorno sul mercato degli Immolation, band che si può definire di culto per gli amanti del death, vissuta per molti anni nell'ombra e oscurata da altri nomi che sono riusciti a spiccare il volo verso mercati più ampli. Nonostante questo i newyorkesi non hanno nulla da invidiare a nessuno, un curriculum di tutto rispetto comprendente dischi ottimi e altri leggermente meno riusciti, ma mai banali o deludenti. Nel 2010 è la volta di "Majesty And Decay", ottavo sigillo di una discografia ricca e ben curata che con l'ultimo "Shadows in the Light" aveva preso una piega oscura e introspettiva, mostrando un lato cupo che andava ad ampliare l'epicità e la dissonanza da sempre tipici del trademark Immolation. Questo nuovo platter continua in maniera naturale quel tipo di discorso, presentandosi in maniera possente grazie ad una spettacolare copertina e ad una tracklist compatta e interessante, strutturata principalmente su due parti scandite da un intermezzo strumentale. La prima si apre in maniera abbastanza retrò con "The Purge", dissonante fino al midollo e puramente conservatoria, in contrasto con la seguente "A Token Of Malice", abbastanza melodica e forse la meno riuscita del lotto. Si inizia a picchiare forte con "Divine Code", pezzo caratterizzato da riff schiacciasassi ma di un gradino sotto rispetto al resto della tracklist, anche qui in diretto contrasto con "In Human Form", altalenante e cadenzata che sfiora la lentezza più dolorosa e agonizzante in diversi punti, una vera perla. L'intera anima del disco viene però racchiusa in "A Glorious Epoch", forte di un epicità molto particolare che caratterizza il senso di dolore e sofferenza dell' intera opera, quasi come se fosse uscita direttamente dalla statua rappresentata nell'artwork. La seconda parte è invece più "semplice" e tradizionale, viene infatti messo in mostra il lato più personale della band con brani come "A Thunderous Consequence" e "Power And Shame", mentre "The Rapture Of Ghosts " mette in mostra le sempre brillanti capacità tecniche dei nostri, in continua crescita nel songwriting. Da segnalare nell'intero ascolto è la continua aria da jam session che si respira, sui riff pesanti e a tempi medi della coppia Vigna-Taylor è curioso vedere una netta ricerca della melodia questi improvvisata da parti dei chitarristi, sorretti a dovere da un basso tenebroso e dalla batteria perfetta di Shalaty.
"Majesty And Decay" è dunque un disco molto interessante, non è di certo un capolavoro o un prodotto fondamentale ma è bello vedere come l'arte di questi musicisti venga espressa in un modo del genere, intelligente e affiatato, questo grazie a una professionalità in dotazione da pochi. Continuano a scrivere pagine.
Recensione di Thomas Ciapponi
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