Negli ultimi anni abbiamo avuto prova che il fenomeno Iron Maiden, a distanza di 30 anni dalla sua esplosione, pulsa ancora più forte che mai. Lo dimostrano posizioni eccellenti in classifica, tour mondiali di enorme successo e ora come ciliegina sulla torta persino un film che documenta le migliori performance della vergine di ferro nell'ultimo "Somewhere Back in Time Tour", che ha permesso di portare la band in angoli del pianeta dove il metal è ancora un dogma da sdoganare. Del resto il ritorno del figliol prodigo Bruce Dickinson in formazione ha oltrepassato i risultati previsti, portando addirittura un nuovo corso artistico iniziato con l'album di post-reunion "Brave New World" passando poi per i ben accolti "Dance Of Death" e "A Matter Of Life And Death", dischi lontani dal sound che ha reso famosi i Maiden ma carichi comunque di quell'energia che solo loro sanno trasmettere, questo nonostante la virata del sound verso lidi prog, portando la durata dei pezzi ad una media di 7-8 minuti e usando uno schema del tutto innovativo, privo di prevedibilità e ricco di diverse soluzioni che ovviamente hanno fatto storcere il naso ai vecchi supporter, più affezionati a sonorità vicine alla NWOBHM. "The Final Frontier" è il quarto sigillo di questa nuova strada, ed anche in questo caso Harris e compagni ci avvertono fin da subito, hanno fatto la loro scelta ed intandono rispettarla, continuando su questo tipo di sonorità forse dovute più alle proprie esigenze artistiche d'età piuttosto che per la gioia dei fan. Trovo quindi inutile continuare a puntare il dito su questa formazione, accusandola di essere troppo commerciale ed eccessivamente sdoganata, un disco con una tale difficoltà di assimilazione è tutto fuorchè a portata di mano per tutti. Chiusa questa parentesi è doveroso annotare che rispetto al suo predecessore, la quindicesima fatica della vergine gode di un'aura più positiva, meno cupa e ben accostata all'atmosfera spaziale che vuole suggerire l'impatto visivo del disco, nonostante questo l'energia spriginata è inferiore, è infatti evidente che l'età per questi 6 musicisti inizia a farsi sentire e benchè abbiano guadagnato in fatto di maturità artistica hanno purtroppo perso buona parte della loro carica emotiva in fase di studio. Ne esce una titletrack molto particolare, difficile da assimilare anche dopo svariati ascolti e dalla presa non immediata, soprattutto nella parte finale dove la band da libero sfogo alla sua vena progressive. Lo spirito metal si sente di rado, è il caso di citare l'ottima "The Alchemist", la più veloce e frizzante del disco, e "The Final Frontier", introdotta dalla recitazione di "Satellite 15" e diramata poi in una cavalcata rock-metal semplice ma comunque godibile, giusta la scelta di piazzarla come singolo apripista. Molto semplice anche "El Dorado", monotona sulla lunga ma senza dubbio di buon impatto in sede live. E' però con "Mother Of Mercy" che i nostri eroi tirano fuori gli artigli, sfornando un midtempo sensazionale dove a fare da padrona è l'ugola d'oro del buon Bruce, che ci regala un ennesimo refrain da capogiro facilmente stampabile in testa. Si continua su un discorso simile con un'altra sorpresa, "Coming Home" è una semi-ballad dal sorprendente impatto dove il frontman da ancora il meglio di sè, supportato alla grande dalla leggendaria sezione chitarristica Murray-Smith-Gers. Da "Isole Of Avalon" l'ascolto poi prende una piega come gia detto difficile, l'ascolto si impegna e le lunghe composizioni fanno da padrone, in "Starblind" si sfiora la noia e la perdita di carica di cui parlavamo inizia a farsi sentire in maniera pulsante. Per fortuna con "The Talisman" la qualità torna buona grazie a un'atmosferica partenza lenta che sfocia poi in una cavalcata godibilissima, un po sulla scia della scorsa "Lord Of Light". Le due tracce conclusive hanno poco poi da aggiungere ad un lavoro che ha gia mostrato i suoi lati migliori, rivelandosi forse il meno riuscito e il più prolisso dei Maiden del nuovo millennio.
Con "The Final Frontier" è quindi naturale notare un calo, seppur le idee ci sono e prendono forma solo dopo diversi ascolti, l'impressione è quella di una scelta sbagliata nell'assemblarle, trasformando le gia difficili nuove sonorità in pezzi che sulla lunga non riescono a tenere elevata la concentrazione, soprattutti per i fan più giovani. Gli Iron comunque ci sono, coraggiosi e intraprendenti in una strada che molte formazioni di successo non oserebbero nemmeno imboccare per la paura di venire sovrastate da altre più dirette e d'impatto. Da gente con il curricumul come il loro è anche giusto accontentarsi.
Recensione di Thomas Ciapponi
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