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Agalloch - "Marrow Of The Spirit" (Profound Lore Records/Audioglobe)

Line up:

John Haughm - Vocals, Guitar
Don Anderson - Guitar, Piano
Jason William Walton - Bass
Aesop Dekker - Drums
 

voto:

8,5
 

recensione

Con soli tre album alle spalle gli Agalloch sono oramai diventati una certezza. Difficile descrivere la loro musica, partiti come band devota al suono di Katatonia e Ulver, il quartetto di Portland ha poi scavato a fondo nelle radici della propria terra madre per portare alla luce un suono del tutto personale e cosa molto importante: unico! Gia perchè non sono in molti a riuscire a toccare le corde dell'anima dell'ascoltatore in una maniera cosi fredda e malinconica, certe sensazioni le si possono provare solo a rendersi conto di essere così piccoli di fronte alle colossali meraviglie incontaminate della natura, e gli Agalloch nel descrivere queste emozioni sono dei maestri indiscussi. Ecco così che a quattro anni dal cupo e angosciante "Ashes Against The Grain", John Haughm e compagni se ne escono a sorpresa con questo nuovo "Marrow Of The Spirit", lavoro che stilisticamente parlando abbandona in parte la sofferenza introspettiva del suo predecessore e ci riporta al cospetto del loro territorio più personale, quello delle rilessioni tra le secolari sequoie dell'Oregon, quello di "Pale Folklore". Un turbine di sentimenti contrastanti quello che sprigiona questo nuovo viaggio, dai rilassanti rumori della natura che sboccia in primavera alla rabbia mista alla paurosa sensazione di solitudine urlata e sofferta, tutto accade in queste cinque composizioni, alle quali si aggiunge un'intro inusuale per la band, "They Escaped the Weight of Darkness", tre stupendi minuti di immersione nella naturalezza della montagna accompagnati da un maninconico violoncello. Era la calma prima della tempesta, ora la strada è iniziata e gli Agalloch la accompagnano come solo loro sanno fare, dalle tirate e epiche sfuriate black di "Into the Painted Grey" alle nostalgiche melodie acustiche di "The Watcher's Monolith", dove il passaggio alle chitarre distorte e l'apporto di una voce ibrida come quella di Haughm crea le solite colossali atmosfere grige e sognanti, chiudendo in bellezza con una disarmante prova di Don Anderson al piano. Con "Black Lake Nidstång" la band compone la propria suite più lunga di sempre, 17 minuti che sanno arrivare in fondo all'animo umano, dai suoni ipnotici posti in apertura e chiusura passando per lo staziante rigurgito di sofferenza nella parte centrale. Aperture più ariose e "positive" vanno invece a caratterizzare "Ghosts of the Midwinter Fires", che lascia poi sopazio nel finale a "To Drown", una lunga e snervante seduta psichica accompagnata da una chitarra acustica, un violoncello e da diverse campionature di suoni esterni. Certo questo album non è un capolavoro, come del resto nessuno degli altri tre dischi degli Agalloch lo è, definirli capolavori sarebbe quantomeno poco appropriato. La verità è che ogni lavoro di questo gruppo riesce a materializzarsi e farsi vivere all'interno dell'animo di chi li ascolta, creando un ponte del tutto intimo e personale tra la propria musica e la vita, doti che vanno ben oltre l'etichetta di "capolavoro".

Recensione di Thomas Ciapponi

tracklist

  1. They Escaped the Weight of Darkness
  2. Into the Painted Grey
  3. The Watcher's Monolith
  4. Black Lake Nidstång
  5. Ghosts of the Midwinter Fires
  6. To Drown

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