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Testament - "Souls Of Black" (Megaforce / Atlantic/***)

Line up:

Chuck Billy - Vocals
Eric Peterson - Guitar
Alex Skolnick - Guitar
Greg Christian - Bass
Paul Bostaph - Drums
 

voto:

7
 

recensione

Una copertina che non avrebbe sfigurato nella prima pagina di un albo di Dylan Dog. Sicuramente l’investigatore dell’orrore avrebbe trovato pane per i suoi denti. Una schiera di anime incappucciate di un nero pece, il volto immerso nell’oscurità, la notte che diventa cupa e sommerge la luna piena lasciando trasparire anime dannate che si lamentano nell’ aere minaccioso. Per completare l’opera nell’oceano oramai trasfigurato appare per prima un’anima con un cuore spinato che sicuramente sanguinerà a breve. Sì, Sclavi lo avrebbe considerato come un ottimo incipt per un’avventura del suo eroe. Noi invece ci dedichiamo all’album che presenta questo vestito : Souls of Black dei gloriosi Testament.
Siamo nel 1990, anno di svolta per i gruppi Thrash più in vista del panorama americano. I nostri arrivavano da anni di produzione intensa, iniziata nel 1986 con quel capolavoro di The Ritual fino ad arrivare al transitorio Practice What You Preach che rappresentava a tutti gli effetti una svolta del sound dei californiani.
Il processo di maturazione artistica ha il culmine in Souls of Black. Osservandolo da un’altra prospettiva questo lavoro lo si può vedere nell’ottica di ricercare sonorità più accessibili al grande pubblico senza però snaturare l’influenza Bay Area. La formazione è quella classica. Chuck Billy abbandonati i grugni primordiali è oramai dotato di grande versalità, prima melodico poi ruvido, Skolnick e Peterson sono da iscrivere direttamente nell’albo delle coppie d’asce più influenti della scena heavy metal mondiale; con il primo che potrebbe essere benissimo ricercato nell’elenco fatto di “musicisti che da soli riescono a risollevare un album mediocre”. Christian è un bassista oltremodo sottovalutato mentre Clemente, saran gusti personali, è abile solo nel picchiare duro e continuare sempre per quella strada. La fantasia non è di casa e se nei primi due lavori con la componente grezza e acida in primo piano il buon Louis poteva dedicarsi solo a scandire pattern tupatupa [or die], l’evoluzione delle sonorità Testament avrebbero richiesto qualcuno che fosse stato in grado di rendere più corposa e innovativa la parte ritmica del quintetto.
Non viene in aiuto di “Souls of Black” nemmeno la produzione approssimativa che soffoca letteralmente il disco dotandolo di poca potenza ed impatto, a risentirne particolarmente è la parte ritmica con una batteria dal sound spento e piattissimo.
Tolti questi ostacoli ci troviamo di fronte ad un full lenght di pregevole fattura. Non un capolavoro per chi scrive, visto che quelli sono da ricercare fra il debutto e “The New Order”. Il problema principale di “Souls of Black” è la poca omogeneità di fondo, ci troviamo troppe volte in bilico nella scelta se pigiare il tasto “skip” oppure quello che aumenta il volume; nel mezzo trovano spazio degli inni Testament destinati ad essere presenti nella maggior parte delle setlist live del combo. Sto parlando naturalmente del duo “Souls of Black” e della ballad sognante e ricca di pathos drammatico “The Legacy”. Azzardando un paragone, attenzione non dal punto di vista musicale, ma “ideologico” ci troviamo di fronte al “Countdown to Extinction” made by Testament. La matrice Thrash è ancora presente ma i chorus e i refrain si fanno sempre più catchy, ritmi folli alla “Into the Pit” sono riscontrabili parzialmente, la chiave di volta è rappresentata dall’inserimento di un’influenza Heavy mainstream che frena talvolta la riuscita del brano. Nel lotto troviamo un riffaggio sugli scudi in “Love to Hate” [l’intro che ricorda Over the Wall], “Falling Fast” e nella conclusiva “Seven Days of May”, queste rendono giustizia all’energia che Billy sprigiona in una prestazione vocale di prima qualità.
L’attore protagonista del disco però è Alex Skolnick, i brani talvolta prendono vita [Face in the Sky docet] grazie ai suoi soli ispiratissimi, melodici e dotati ovviamente di grande tecnica esecutiva, il tutto è sostenuto egregiamente da Peterson. Ne è l’esempio perfetto “One Man’s Fate”, traccia di per se interessante ma che raggiunge il culmine quando a prendere le redini è il poliedrico chitarrista. Non stiamo nemmeno a scomodare l’arcinota “Souls of Black” con il suo solo maestoso e che si incastona perfettamente con il lavoro ritmico dell’altra chitarra.
Rimangono dei rimpianti, visto che con un pò di cura e attenzione ai dettagli maggiori questo poteva essere un signor disco dalla quale invece conviene estrapolare solo certi brani o parti strumentali per poter comprendere il genio Testament. Il loro cammino proseguirà con “The Ritual” dove c’è un’ulteriore distaccamento dal sound delle origini, prima di precipitare nell’anonimato dei mid 90’s con Low [sottovalutato come lavoro] e Demoniac, salvo poi riprendersi con un lavoro moderno “The Gathering” fatto più da un super-gruppo che dai Testament veri e propri. Dopo la malattia di Billy il ritorno nella scena con “The Formation of the Damnation” spiana alla band la strada per essere menzionati, anche se spero che già lo fossero, nei Big della scena Thrash americana, visto il periodo di Big 4 e discussioni sui meriti effettivi di chi possa farne parte. Vabbè, forse certe considerazioni è meglio lasciarle al rotocalco metal di turno.

Recensione di Daniel Molinari

tracklist

  1. Beginning of the End (Intro)
  2. Face In The Sky
  3. Falling Fast
  4. Souls of Black
  5. Absence of Light
  6. Love To Hate
  7. Malpractice
  8. One Man’s Fate
  9. The Legacy
  10. Seven Days of May

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