Inizialmente erano i Rusted, ora si chiamano Human Improvement Process, questi cinque ragazzi modenesi che in sei anni hanno subito un’evoluzione bizzarra, dai cambi di formazione a quello del proprio sound, ora più votato al deathcore che non al thrash da cui erano partiti. La proposta di questi ragazzi è diventata quindi prettamente attuale, pescando influenze dalle giovani band della nuova generazione come Despised Icon, Architects o Parkway Drive, poggiando molto sui classici breakdown e sui ritornelli catchy cantati rigorosamente in clean, il tutto condito dai soliti elementi elettronici diventati oramai d’obbligo se si vuole pubblicare un disco del genere. Si punta tutto su questa formula efficace e pluritestata in una tracklist che presenta appena sei brani, di cui ne vanno sottratti due vista la loro evidente funzione da contorno d’atmosfera, dunque solo quattro, un po pochini per presentarsi al pubblico, ma la musica ci ha insegnato che si possono comporre dei capolavori con una sola traccia. Ovviamente questo non è il caso degli HIP, ancora timidi e poco intenzionati a sbilanciarsi per dare quel tocco di personalità ai pezzi, che seppur scorrano via senza troppe difficoltà non sono certamente in grado di lasciare il segno, dimostrandosi deboli sotto il punto di vista del songwriting e fin troppo ruffiani in certi passaggi (il refrain della titletrack seguito dall’assolo e dalla parte discotecara). Va invece premiata l’esecuzione, impreziosita da un discreto lavoro chitarristico e da una passione generale che si evince chiaramente, elementi che pur facendoci molto piacere a volte non bastano. Seppur "S.t.a.r.s." ha lo scopo di colpire direttamente nel segno qui di sorprese se ne vedono ben poche, non ci sentiamo comunque di troncare pesantemente un lavoro troppo breve e non in grado di darci un’idea più amplia delle potenzialità dei cinque mantovani. Rimandati.
Recensione di Thomas Ciapponi
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