Il post rock si sa, è un genere non per tutti e che va comunque preso col contagocce, soprattutto nell’approcio iniziale. Troppi sono infatti i rischi di fraintendere la proposta delle band di questo genere, e non importa se si tratti di Isis, Red Sparowes, God Is An Astronaut e compagnia bella, se questo tipo di composizione non viene assunta con una certa predisposizione degli sgravedoli pregiudizi potrebbero affiorare facilmente, pronti a tanere lontani gli orecchi troppo estranei. Questo lo sanno bene i tedeschi Long Distance Calling, giunti al traguardo del terzo studio album dopo il successo ottenuto con il precedente "Avoid The Light", lavoro che ha permesso alla band di ritagliarsi spazi importanti nei festival estivi e di intraprendere un tour con i ben più noti Katatonia e Swallow The Sun. Lo sanno talmente bene che, astutamente, poggiano la loro musica su diversi stili, non standardizzandosi sui canoni classici del genere in questione ma rendendo il tutto più "accessibile" grazie all’aggiunta di diverse influenze esterne, che spaziano perlopiù dal metal al progressive, per strizzare poi l’occhiolino anche a qualche atmosfera grunge. Accessibile non è però sempre sinonimo di banale e finto: seppur non inventi nulla di nuovo, il quintetto di Münster ha infatti saputo crearsi un’anima propria con i due precedenti lavori, ritagliandosi una personalità non indifferente e facendo delle esibizioni live una vera e propria arma in più, maturando abbastanza per arrivare a testa alta alla pubblicazione di questo omonimo disco. Accentuando le influenze sopraccitate, questi giovani ragazzi ci propongono un’ennesima prova di forza, evolvendo moderatamente il proprio sound che si basa ora su un forte uso dei potenti riffing espressivi, come dimostrano subito l’opener "Into The Black Wide Open", la cruenta "Arecibo (Long Distance Calling)" e l’intro della spettacolare "The Figrin D’an Boogie", che si evolve poi in un vortice post dalle mille sfumature. Ben più classica e diretta è "Middleville", gran pezzo che come da tradizione ospita un singer d’eccezione, in questo caso John Bush, formando un’accoppiata vincente che incanta con le sue sterzate da momenti di relax ad altri di irrequieta libidine canora. Ma a regalare le emozioni più forti è la conclusiva "Beyond The Void", pittoresa nel suo incedere e capace di esternare tutte le potenzialità espressive di questa formazione dalle mille sorprese, a suo agio sia nello sperimentare che nel lasciarsi andare in un turbine emozioni. Riescono dunque ancora a stupire i Long Distance Calling, ricchi di idee e lontani da quel tunnel di ripetizione che potrebbe imboccare una giovane band consapevole della sicurezza della propria formula. Qui il guardare avanti è di casa ed il tutto viene espresso con una immediatezza disarmante. Una garanzia per il futuro.
Recensione di Thomas Ciapponi
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