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Avalon - "Eurasia" (Omega Records /Lucretia Records)

Line up:

Chitral Somapala – vocals, chapman stick
Sebastian Eder – guitars, ebow
Petra Hasselkuss - bass
Jens Kuckelkorn - keyboards
Jacques Voutay – drums
Guest musicians:
Roland Salim Köhler – indian classical sitar
Nimal Susiri Nanayakkara – dolky
Pietro Ramaglia – brushes
Rannveig Sif Sigurdardóttir – female voice
Robert Hunecke Rizzo – backing vocals, djembe
Cinzia Rizzo - backing vocals, female voice
Thomas Rettke – backing vocals
 

voto:

3
 

recensione

I tedeschi Avalon rilasciano nel 2000 quello che è il loro quarto e per ora ultimo album, “Eurasia”.
In questo disco il loro power/prog sinfonico si fonde con la tradizione asiatica, un unione che sembra fare molta fatica a saldarsi. L’album, prodotto da Sascha Paeth, parla di personaggi e paesi dell’Asia, con uno stile che comprende diverse parti melodiche, oltre a canti buddisti e l’uso di strumenti tradizionali come il “sitar” indiano (una sorta di chitarra) e per fare questo la band si è servita dell’aiuto di diversi musicisti. Se tutto ciò può sembrare un’idea interessante, risulta invece secondo me il vero punto debole del disco, che infatti già con l’intro (che non ha nulla a che fare col metal) lascia molto perplessi su questa scelta.
Mentre già meglio durante l’ascolto sono canzoni come “Burning Souls” e “Black Hole Wisdom”, in buon stile power, ben eseguite e orecchiabili, la lunga “Eternal Flame”si rivela un mezzo buco nell’acqua, buone le parti di chitarra, ma la canzone per il resto non sembra convincere, a partire dal refrain alle lunghe e lente pause acustiche. La traccia seguente sembra presa da un cd di canti popolari indiani, con l’unica differenza che il testo è in inglese, e non lo dico certo come un complimento per un gruppo che in teoria dovrebbe suonare metal… Purtroppo la canzone successiva non è molto migliore, perché anche se lo stile torna in parte quello tipico della band, con qualche buono spunto, per altri versi non è diverso dalla precedente, soprattutto nelle parti vocali. Con la titletrack sembra che si sia toccato veramente il fondo, l’inizio ricorda uno spettacolo di danzatrici indiane ad una fiera e solo la chitarra in sottofondo, protagonista nella parte centrale, la salva da un giudizio disastroso, facilmente proponibile anche ascoltando il coro conclusivo. Decisamente diversa è la successiva “The Stranger”, buon brano power, non eccessivamente potente, che, forse anche per il contrasto con le tracce precedenti risulta una delle migliori dell’album. L’illusione di sentire qualcosa di buono anche con la canzone seguente, svanisce con le prime note, tanto che non mi sento di descrivere quella che sembra infatti una specie di ballad di dubbio gusto. La sofferenza continua con “Kyrie”, più rockeggiante nello stile, ma che porta con le parti vocali la band ancora una volta vicina più a un gruppo rock commerciale di quelli che infestano le radio oggigiorno. Si conclude con un outro acustica, che è addirittura migliore di maggior parte delle canzoni.
In conclusione non mi sentirei di consigliare questo album ad un metallaro neanche se lo odiassi alla morte, infatti salvo forse tre-quattro canzoni, il resto risulta una vera e propria tortura per chi è abituato a sonorità più forti e decisamente meno lagnose dei canti indiani o buddisti che si insinuano più volte nel disco, a dimostrazione che non sempre sperimentare è una buona scelta (anzi qui si poteva benissimo evitare, per il bene di tutti). Capisco perché questo è il loro ultimo album…

Recensione di Marco Manzi

tracklist

  1. Aurora
  2. Burning Sun
  3. Temujin
  4. Black Hole Wisdom
  5. Eternal Flame
  6. Save The Holy Land
  7. The Last Call
  8. Eurasia
  9. The Stranger
  10. The Painting
  11. Kyrie
  12. Semaruma

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