Si è discusso e si sta tutt’ora discutendo circa l’utilità effettiva delle reunion storiche nel panorama metal. Praticamente quasi tutte le formazioni perse per strada nel corso dei ’90 o addirittura nei ben più lontani ’80, e forse anche con un solo full-lenght di culto da curriculum, si sono riformate nel nuovo millennio per la gioia di chi, in quegli anni d’oro, non potè assistere al fenomeno che le vide assolute protagoniste. Ma cosa c’è in realtà dietro a questi improvvisi ritorni di fiamma? Potremmo stare ore e ore a discutere di questo argomento, probabilmente senza mai trarne una vera e propria conclusione unanime. Quello che ci interessa è giudicare la qualità dai prodotti che vengono pubblicati dalle band in questione, a volte a loro rischio e pericolo, mettendo a repentaglio la propria importanza storica. Nel caso dei Pestilence tutto sembra girare per il verso sbagliato, rientrando di diritto nella categoria delle "reunion bufala", già perchè dell’oramai storica formazione di "Testimony of the Ancients", capolavoro per antonomasia della band e del death in generale, rimangono "in vita" solo i due chitarristi, tutto il resto è diventato oramai polvere, dal resto dei musicisti che furono al genere che quel discone proponeva. Ci avevano gia riprovato nel 2009 con "Resurrection Macabre" e ammettiamo che, seppur quell’album abbandonava completamente il discorso lasciato a riposare con "Spheres" e subiva un certo calo di idee del mastermind Patrick Mameli, ci era sembrato un giusto dischetto di ritorno, se non altro per far sapere che la pestilenza era ancora viva. Ok lo avevamo sopravvalutato, troppo fiduciosi di poter sentire ancora qualcosa di personale, castelli di carta che sono completamente crollati con "Doctrince", un lavoro imbarazzante e ben lontano dalle talentuose composizioni passate degli olandesi. Abbandonati i tentavi di "brutalizzarsi" introdotti dallo scorso full-lenght, qui si cerca a tutti i costi la via del mid-tempo cavernicolo e sofferente, tentando in qualche modo di mettere di nuovo in primo piano la tecnica persa nel corso degli anni e che qui si tramuta in un’accozzaglia di suoni spesso confusi e che non faranno tardi a rendersi noiosi e insopportabili per l’ascoltatore. Non ci piace di solito fare paragoni coi passati gloriosi in questione, ma come non notare la differenza abissale dalle vecchie produzioni a queste ultime, dove vengono completamente dimenticati elementi-chiave come le linee di basso, gia titubanti due anni fa con Tony Choy e qua inesistenti con Jeroen Paul Thesseling, il riffaggio, diventato oramai anonimo e privo di lucidità tale da regalarci qualche momento interessante, ed infine la voce di Patrick, che avevamo ben accolto in "Resurrection Macabre" e che invece ora ritroviamo tramutata in una spece di verso simile a quello del maiale quando viene sgozzato. Lasciando perdere il banale concept di fondo anticristiano che oramai non impessionerebbe neanche chi ascolta gli Slayer da 2 giorni, è giusto sottolineare la monotonia di una tracklist mai tanto banale, priva di momenti caldi e che a tratti ricorda i Death di "Human" coverizzati da una band di sedicenni, brani come "Amgod", "Dissolve" e "Divinity" dovrebbero essere sufficenti per far capire come si sono ridotti i Pestilence nel 2011. Tanto amaro in bocca e la sicurezza di vedere questa band nel punto più basso della loro carriera, lavori così brutti e superflui sarebbe opportuno lasciarli a certe band deathcore, e qui abbiamo davvero detto tutto. In definitiva ci chiediamo se è davvero il caso di continuare su questa strada, se le idee mancano e non si ha più voglia di fare musica allora sarebbe il caso di prendere esempio da due band come gli At The Gates e i Carcass se proprio si vuole restere in attività.
Recensione di Thomas Ciapponi
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