Dovevano dare una prova di forza i Red Fang, promettente band stoner proveniente dall’Oregon e gia arrivata al debutto con l’omonimo album del 2009, ci ritroviamo invece con un disco insipido e che poco condivide con il suo divertente predecessore. Il sound di questa ennesima southern-metal band della Relapse ha subito dei cambiamenti, cercando di evolversi e trovare un’identità più matura ed evoluta la dove il punto di partenza era un connubio ignorantissimo tra le ritmiche desertiche dei Kyuss e la sporcizia fangosa degli High On Fire. Purtroppo il risultato non è quello che volevamo sentire da "Murder The Mountains", in questa nuova incranazione di musicisti premurosi e meno giocherelloni il quartetto di Portland sembra trovarsi davvero spaesato nel proporre una manciata di pezzi lontani dalle rozze bordate di "Prehistoric Dog" o di "Reverse Thunder" (tanto per citarne alcune), finendo per impacciarsi nel tentare ricreare atmosfere malsane tanto care ai Melvins e qui ridotte davvero agli estremi del ridicolo, il pezzo "Throw Up" per esempio si rende davvero inascoltabile con il singer Aaron Beam che tenta di scimmiottare King Buzzo. Proprio la voce di Aaron sembra essere l’anello debole più evidente, incisiva e rauca quanto bastava nell’esordio qui si dimostra del tutto piatta e priva di mordente, tenendo un’inespressiva tonalità tutta uguale dall’inizio alla fine. Destreggiandosi con il rock psichedelico e il prog/sludge portato avanti a testa alta dai Baroness poi avviene il disastro totale, le chitarre sembrano infatti tenute troppo a bada da una forzatura ingiustificata e la dove due anni fa creavano dei forti contrasti fra le parti raffinate e quelle puramente stoner adesso si spengono ancora prima di esplodere ("Wires" su tutte). L’unico accenno allo spirito selvaggio che fu lo troviamo in "Hank Is Dead", buon pezzo da party alcolico che da solo non riesce a reggere il mezzo disastro di un salto di qualità per niente riuscito. Peccato davvero, per i Red Fang questa poteva essere l’occasione per attaccarsi al treno inarrestabile del southern capitanato da nomi come Mastodon, i gia citati Baroness o i da poco esplosi Kylesa. Detto questo stiamo pur sempre parlando di una formazione in giro da appena quattro anni, di tempo farsi giustizia ne hanno eccome.
Recensione di Thomas Ciapponi
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