Una sorta di sacerdote zombificato che si erge sopra una cattedrale gotica, avvolto dalla tipica, tetra tempesta notturna e da uno stormo di pipistrelli da far gelare il sangue solo a vederli da lontano. Con una copertina del genere ci chiediamo se è davvero possibile non avere un minimo di curiosità nel conoscere questi Ghost, band (o forse è meglio dire culto) svedese all’apparenza portatrice del solito black che vuole farci impressione con le banalissime tematiche a sfondo satanico anti-cristiano. In realtà ci troviamo di fronte a degli strani individui, i membri si nascondono sotto toghe monacali ben incappucciate e sicure di non esporre il volto alla luce del sole, il cantante è lo stesso raffigurato in copertina, un papa del male armato di incenso che cammina sulla terra col compito di espandere il verbo del maligno. Beh in fin dei conti anche qui nulla di propriamento originale possiamo dire. Gia, se non fosse, in primo luogo, che l’ironia che avvolge questi mattacchioni è palese, in secondo luogo la proposta è da definirsi luciferiana solo nel senso più teatrale del termine, non vi è infatti traccia di produzioni grezze, grugniti incomprensibili o accordi ripetuti ad oltranza, qui a fare da padroni sono la voce calda del singer, particolarmente gradevole, e i riff dannatamente retrò estirpati a band spesso troppo dimenticate quali Blue Oyster Cult, dai quali prendono l’intero background e il gusto catchy dei pezzi, e la coppia Mercyful Fate/King Diamond, omaggiati dei testi e dal lato più oscuro della proposta. "Opus Eponymous" riesce dunque a colpire dritto nel segno grazie ad un’orecchiabilità di fondo e all’immediatezza dei singoli brani, apparentemente banali e semplici ma tuttavia forti di una certa prova tecnica matura e concreta ("Ritual", "Elizabeth" e "Stand By Him" su tutte), dando spazio anche a momenti di taratura più heavy come "Death Knell", degna colonna sonora di un film horror, e la strumentale "Genesis", una prova d’esecuzione ben costruita. A rafforzare questo inquietante affresco musicale è da sottolineare l’apporto delle gia citate linee vocali del sacerdote, molto piacevole e totalmente a suo agio nell’atmosfera figlia diretta degli indimenticabili anni settanta, dando quel tocco in più all’intera tracklist per risultare più immediata e orecchiabile possibile. Si, hanno proprio trovato una formula irresistibile questi Ghost, non per niente se li è subito accaparrati Lee Dorrian e la sua Rise Above Records, dando così la certezza a questi musicisti dal nome sconosciuto di avere una certa vistosità in futuro, e del resto come non averla se vai sul palco conciato così. La prova che un revival non deve per forza plagiare i mostri sacri del genere in questione.
Recensione di Thomas Ciapponi
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