E’ sempre un piacere confrontarsi con band particolari come i Karma To Burn, nome di culto del panorama stoner rock e snobbati (ingiustamente) da molti per via della proposta interamente strumentale, o quasi. Certo c’è chi potrebbe pensare che ai ragazzi degli Appalachi non serva alcun tipo di recensione, chi li conosce è abituato fin dal’omonimo esordio datato 1997 alla loro collaudata e coerente scarica adrenalinica di pesante rock a stelle e strisce, caldo e rovente, proprio come tradizione comanda. Tuttavia chi ha seguito attentamente il percorso del gruppo da 15 anni a questa parte saprà distinguere ad occhi chiusi le peculiarità di ogni singolo album, chi selvaggio ("Wild Wonderful Purgatory"), chi più tecnico ("Almost Heathen"), chi catchy e rockeggiante ("Appalachian Incantation") ed anche nel caso del nuovo "V" possiamo tranquillamente aprire una parentesi a parte. Quello che forse ci saremmo meno aspettati dai KTB nel 2011 è di vederli abbozzare una rottura alla classica "regola dei numeri e dei pezzi strumentali" che ha contraddistinto la band in tutti questi anni, dando un’occhiata alla tracklist balzano infatti subito all’occhio ben 3 brani su 8 con un titolo proprio, di cui una cover di "Never Say Die" del sabba nero, tutti quanti caratterizzati sorprendentemente dalle linee vocali a cura di Daniel Davies. Piccoli esperimenti o voglia di cambiare? Mai risposta è stata più difficile dopo aver letteralmente divorato una nuova pubblicazione, ambigua in tutti i suoi lati. Detto questo la quinta fatica del combo del West Virginia vive di alti e bassi, mostrando il suo lato sfacciato solo nella seconda parte, affidando alla prima una manciata di brani scarni e privi di quell’effetto sorpresa che dovrebbe avere ogni singolo parto di questa formazione. "47", "50", "48", chiamateli come volete, noi preferiamo denominarli "i primi tre", la sostanza non cambia, quel che invece cambia è l’adrenalina che non riusciamo a percepire da qui alle intro delle passate pubblicazioni, tant’è che quasi stupefatti si potrebbe persino credere che la tanto venerata formula dello stoner strumentale stia iniziando a finire le proprie pozioni magiche. E invece no! il rifforama desertico esplode prepotentemente riportando quegli zozzi americani nel loro habitat naturale, quello di "The Cynic" e "49" per intenderci, pennellata dalle lyrics la prima e purosangue la seconda, due ottimi antipasti per quei tori impazziti di "51" e "Jimmy D", pericolose, adrenaliniche e piene di quel maledetto groove dinamitardo di un William Mecum a suo agio in queste ritmiche. A completare il tutto la gradevole e gia citata cover del classico sabbatiano, dove troviamo una gran prova vocale del buon Daniel, in perfetta sintonia qui e negli altri due cantati con lo stoner non scontato dei KTB, rivelandosi una preziosa arma da utilizzare in futuro, cosa che siamo propensi a credere verrà fatta. Doppia faccia quindi questo "V", non di certo uno dei migliori lavori della band ma strafottente e trascinante nella sua "faccia malvagia". Quella che ci ha dato è una sensazione di album di transizione, anche per la sua breve durata. Chissà se in un prossimo futuro l’esperimento vocale non diventerà una vera e propria parte organica del progetto.
Recensione di Thomas Ciapponi
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