Da Potenza mi arrivano gli Envyra, interessante formazione che prende spunti dal death doom di scuola inglese, Paradise Lost, My Dying Bride e la fonde con la scuola black death scandinava, portando alla luce un’interessante ibridazione.
Se da un lato la ferinità delle vocals di Rocco e Mancan violentano i padiglioni auricolari dell’ascoltatore, la chitarra di Mario più e più volte stempera il tutto con passaggi melodici ma sempre e potenti e taglienti come rasoi.
In piu’ punti la forza della chitarra la fa da padrona, dagli assoli all’interno dell’apripista “sands of time” all’apertura di “Reverse Order” dove Mario tagliuzza in parti infinitesimali l’animo dell’uditore, mnetre la declamatoria voce di Mancan, che qui passa anche a tonalità più umane e non ferine, cerca di trattenere la furia che la chitarra sparge su tutto il pezzo; da dover sottolineare il carente, carente suono della batteria che penalizza l’impatto del tutto.
Le tracce hanno una durata medio lunga, tutte sopra i cinque minuti, denotando la ricerca stilistica del gruppo, e soprattutto il continuo tentativo di produrre qualcosa di nuovo e articolato, il tutto sempre ben orchestrato ma che a volte viene penalizzato da suoni di batteria, come dicevo prima carenti, o da una poco efficace equalizzazione tra chitarre e voce, penalizzata soprattutto nei passaggi “clean”, che perdono molto del loro “pathos” e della vena declamatoria.
Nel complesso un’opera molto interessante, piena di spunti molto validi ma anche di punti in cui poter migliorare, ma quello che abbiamo sentito fa ben sperare per il futuro degli Envyra.
Recensione di Lorenzo C.
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