Sono trascorsi ormai vent’anni dall’uscita del primo Ep "Sorrow Throughout The Nine Worlds" preceduto dal demo "Thor Arise" (1993), nel corso di due decadi i vichinghi Amon Amarth si sono costruiti una solida carriera, passo dopo passo, album dopo album commettendo anche qualche passo falso, leggasi "The Crusher" e il terzultimo "Surtur Rising". Certo è che con "Jomsviking" Johan Hegg e compagni fanno centro per l’ottava volta.
Per questo disco mitologia e divinità nordiche passano in secondo piano lasciando spazio alla storia. Nel corso di queste undici tracce infatti si narrano le vicende della confraternita di Jomsborg cui ogni anno viene dedicato un festival di rievocazione storiaca sull’isola di Wolin in Polonia e che nel XIII secolo ha ispirato la "Saga dei vichinghi di Jomsborg".
Vengono quindi chiamati in causa gli Jomsvikings, da qui il titolo del disco, temibili guerrieri che si sono guadagnati fama e gloria nel periodo d’oro dell’epoca vichinga.
Da segnalare l’abbandono del batterista Fredrik Andersson che, per questo disco, è stato sostituito da Tobias Gustafsson dei Vomitory.
Dal punto di vista stilistico il quartetto scandinavo continua a strizzare l’occhio a sonorità classiche intrecciandole comunque allo stile melodic death delle origini.
"Jomsviking" mostra da subito tutte le carte in tavola con la opener "First kill", lo stile di casa Amon Amarth si sente sin dalle prime battute.
Si rallenta su middle tempos più cadenzati per un sound dalle tinte più epiche in "Wanderer" per poi tornare su ritmiche più veloci e possenti con "On a Sea of Blood" e la successiva "One Agains All".
"Raise Your Horns" è un pò la novità di questo disco, canzone semplice, dal ritornello orecchiabile fatto apposta per far cantare il pubblico (vedremo in sede live) forse i fans di vecchia data storceranno il naso ma si rifaranno sicuramente con le tracce successive.
Ottime la cavalcata epica "The Way Of Vikings" e la malinconica "One Thousand Burning Arrows" che nelle sonorità ricorda vagamente la mitica "Amon Amarth".
Un vero highlight “A Dream That Cannot Be” che vede come special guest la regina del metal teutonico Doro Pesch in forma smagliante come sempre.
Epica e feroce è la conclusiva "Back On Northern Shores", un sunto di quello che è il miglior disco di casa Amon Amarth degli ultimi anni, più maturo, completo ed ispirato.
Avanti cosi, Rise your Horns!
Recensione di Paolo Manzi
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