Gli Humulus sono un power trio di Brescia dediti ad uno stoner rock sporcato di doom della prima ora che
licenziano sotto la piccola etichetta Bilocationrecords il loro secondo disco intitolato The Deep.
La classica formazione chitarra/voce, basso e batteria, guidata dal mastermind Andrea van Cleef snocciola
sei brani dai suoni slabbrati, che tendono a dilatarsi come nella tradizione apocalittica inglese senza però
mai perdere l’ossatura hard rock tipica di alcune band del genere statunitensi.
Un brano come l’opener Devil’s Speak infatti suona come un blues a stelle e strisce sotto steroidi, con un
buon lavoro del già citato Van Cleef dietro al microfono:
ma ben presto ci si accorge che l’elemento
iconografico del disco, che richiama immediatamente alla memoria band come Bongzilla, Electric Wizard e
ansiosi viaggi onirici, appare fuorviante. Questo perché i Nostri preferiscono affidarsi all’impatto sonoro è
ritmiche abbastanza sostenute piuttosto che a divagazioni psichedeliche.
Questa ultima caratteristica fa
comunque capolino nella lunga Into the Heart of the Volcano Sun che in poco meno di un quarto d’ora
riesce ad esprimere la buona capacità degli Humulus in fase di songwriting: in questa occasione alcuni echi
di Pink Floyd fanno capolino, con sulfuree atmosfere psichedeliche che si intrecciano con riff rock, semplici
ma efficaci.
E’ proprio questa prova di carattere che però sembra farci porre dei dubbi sul reale valore di The Deep: se i
nostri sono stati in grado di produrre brani decisamente positivi, ci si aspetterebbe un buon livello per
l’intera durata del disco. In realtà il lavoro scorre senza grandi sussulti da parte dell’ascoltatore, sollevando
di tanto in tanto la sensazione di già sentito che, alla lunga, tende a far scemare l’attenzione sul brano.
Molto apprezzabile la scelta dei suoni utilizzati nei sei brani, con un basso pulsante molto presente che si
confonde con i suoi buzz, con i suoni fanghosi della chitarra ora distorta, ora piena di delay.
Alla fine dell’ascolto di The Deep, un pensiero fisso sembra rimanere nella mente: il disco appare come una
specie di occasione in parte persa dalla band lombarda. Sicuramente cè un gran potenziale nei tre musicisti
presenti nel lavoro, ma questo potenziale non è stato espresso appieno. Troppe soluzioni “facili” e per
questo un pochino scontate, macchiano una prova che avrebbe potuto essere sicuramente più
accattivante. Siamo però sicuri che dietro ad alcune sbavature stilistiche si nasconde una band che
potrebbe sorprendere quando meno ce lo aspettiamo.
Consigliamo comunque un ascolto a The deep, in particolari a fan del mondo stoner doom, rimandando
nuove parole su di loro nel futuro, quando la farfalla racchiusa nello stretto bozzolo riuscirà finalmente a
spiccare il volo.
Recensione di Manuel Molteni
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