Dopo 9 lunghi anni torniamo a sentir parlare di Gernotshagen, formazione teutonica dedita ad una singolare forma di black metal conosciuta come "Heidnischer Thüringer Metal", sottogenere figlio di un pagan black metal circoscritto alla regione della Turingia nato da band come Menhir, XIV Dark Centuries e appunto Gernotshagen.
Dopo quasi due lustri dalla pubblicazione dell’ottimo "Weltenbrand" troviamo ancora la stessa band ma più matura, pronta ad affrontare una sfida, quella dell’autoproduzione, vinta sotto tutti punti di vista.
Ma soprattutto siamo davanti ad un’innegabile maturazione sia dal punto di vista del songwriting che delle composizioni, in modo particolare il guitarwork che trova la sua massima espressione nei numerosi assoli.
Il songwriting, come da titolo, è un inno alla natura, ai miti ed alle saghe ed alle leggende nate nel fitto delle secolari foreste delle Turingia, una delle regioni più selvagge della Germania.
I quasi 3 minuti dell’intro sono un mix di suoni familiari a chi vive la natura nella sua interezza, ecco che quindi le tastitere fuongono da accompagnamento al richiamo di un allocco nella notte ed al possente bramito del cervo maschio che delle foreste è il re indiscusso e il cui palco troneggia nella cover del disco.
Ottima la prestazione del frontman Askan che ancora una volta si dimostra abile nel padroneggiare e alternare scream, growl ed epici passaggi cantati in "pulito", ascoltare "Blut für die Meute" per credere.
"Wildnis" e "Transzendenz", saggiamente posizionata in chiusura, racchiudono in un totale di 25 minuti lo spirito del disco, dalle rabbiose sfuriate black metal ai toni epici con alcuni lontani richiami a Falkenbach inseriti però in un contesto più "continentale" laddove la gente ha vissuto per millenni forgiando la propria storia vivendo in simbiosi con un mondo selvaggio e le creature che lo abitano.
In conclusione "Ode Naturae" risulta essere un disco non per tutte le orecchie ma sarà certamente acclamato dagli amanti del genere ma compreso nalla sua totalità solamente da chi apprezza la natura e le sue storie.
Recensione di Paolo Manzi
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