Dopo lo split di Matos, Confessori e Mariutti (ora negli Shaman) e l’ingresso di nuovi membri nella famosa formazione carioca, molti fans temevano per la sorte di una delle più famose e longeve power band sudamericane. Dubbi e perplessità vennero in parte cancellati con l’uscita del mini cd “Hunters and Pray” nel quale Edu Falaschi (nuovo singer del gruppo) assime ai nuovi compagni offre una magnifica prova di quello che è in grado di fare. Ora, per consacrarsi al pubblico mondiale Edu, che si ritrova sulle spalle la pesante eredità di un grande singer quale Matos, non può far altro che dar prova di se in campo live. Ed ecco allora che gli Angra sfornano un doppio cd dal titolo “Live in Sao Paulo” dove finalmente il pubblico potrà apprezzare quello che la band brasiliana è diventata.
In questo cd Falaschi reinterpreta i brani storici quali Nova Era, Nothing to Say e Carry On, non cercando di imitare il suo predecessore, bensì mettendoci del suo. Questo potrà piacere o meno a chi identifica ancora Angra = Matos, ma potrà anche reclutare nuove leve di pubblico che apprezza le nuove interpretazioni e che magari non ha mai digerito le tonalità (sempre ottime dal mio punto di vista) del sublime Andrè Matos. Tornano al lavoro in questione il 1° cd offre come ultima traccia un solo di batteria di oltre 5 minuti, vera chicca per chi apprezza le sonorità prettamente tecniche. Mentre chiude il secondo cd (e con questo anche il concerto) la cover di “The number of the Beast” degli Iron Maiden. Nel corso di tutto il concerto Edu e Co. Offrono una prestazione impeccabile che il pubblico presente (a giudicare dalle urla e dal coinvolgimento) sembra apprezzare.
Chi ha assistito poi alla prestazione Live la scorsa estate al Wacken Open Air non potrà che confermarlo. Concludendo “Live in Sao Paulo” è un ottimo cd live, consigliato a tutti, ma proprio tutti, anche a coloro che col metal hanno poco o niente a che fare. Perché quando si parla di Angra non si parla di un metal band qualsiasi, ma di una della POWER METAL BAND per eccellenza.
Recensione di Paolo Manzi
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