Ecco una band che ha tutte le carte in regola per riscuotere successo, già dopo il debut "The
Phantom Agony" il gruppo aveva fatto parlare di sé in tutta Europa ed oltreoceano, tanto che il
buon Roy Khan dei Kamelot aveva voluto la voce della bella e giovane singer Simone Simmons
per una ballad del suo nuovo The Black Halo uscito qualche mese prima. Una band che ha saputo
costruire la propria fortuna sulla voce della propria singer ed ha giocando bene le sue proprie
carte architettando un sound melodico che in più occasioni abbandona i confini metal per entrare
nel mondo della musica classica.
L'album è ben articolato e si snoda su undici tracce, va
considerata anche l'ottima intro "Hunab K’U", che ricorda vagamente "Deus Le Volt!", su "Temple
Of Shadows" degli Angra.
Sarà forse un caso che il tema nuovo album dell'act olandese abbia a che fare con la cultura
Maya. Indubbiamente la band può vantare una vocalist eccezionale, un mezzo-soprano, che
talvolta sfocia in soprano. Così all'ex chitarrista degli After Forever, Mark Jansen, è bastato
creare brani ben articolati costruiti su riff heavy metal e contornati da melodie più vicine alla
musica classica, facendosi aiutare da una vera e propria orchestra, come già successo nel caso
del dvd "We Will Take You With Us".
Ecco dunque prender forma songs come la teatrale
"The Last Crusade" caratterizzata da mid tempos e che raggiunge il suo apice nei cori che
conferiscono un tocco di sacralità ed atmosfera in più.
Ottima anche la successiva "Solitary
GRound" ballad dove l'unico elemento predominante è la voce di Simone.
Con "Blank
Infinity" si aumenta invece il ritmo, mantenendo sempre quella teatralità che caratterizza tutto
l'album ma dove si torna anche sentire le influenze Heavy Metal della band. Quando si arriva a
"Force of the Shore" si sente anche un po' di growl, che ben si contrasta alle clean vocals della
singer.
Visto che Simone aveva offerto la sua voce per un duetto con Roy Khan sul suo The Black Halo,
il singer americano ricambia il favore cantando con Simone in "Trois Vierges" sulle note di un
clavicembalo, sempre accompagnati dall'immancabile orchestra d'archi. Sfornando il miglior
pezzo lento di tutto l'album.
Ottimo anche la titletrack che chiude l'album in maniera monumentale racchiudendo una sorta di
sintesi di quello che è l'album, si ritorna a riff granitici contro orchestra e growl in stile death a
contrastare la voce di Simone e quella del coro che l'accompagna dando vita ad un mix di stili
veramente entusiasmante.
Ottimo lavoro, a dir poco vicino alla perfezione ma non per questo asettico. Fortemente
consigliato!
Recensione di Paolo Manzi
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