Il gruppo fiorentino é ormai ben noto ai seguaci del metallo italiani e stranieri e quest’ anno si presenta con il quarto studio-album: “ Emperor Of The Black Runes ”.
Attivi dagli anni ’80 i Domine rappresentano una garanzia per gli appassionati dell’ epic power metal e in questo disco, prodotto di nuovo con la Dragonheart Records, si sente ancora il loro stile inconfondibile. Dopo vari cambi di line-up i toscani sembrano aver trovato la giusta combinazione e in quest’ ultimo album, registrato durante il mese di maggio, si sente il risultato delle buone prestazioni di ogni singolo componente.
“Overture Mortale” è il maestoso intro che ci consente di preparare l’ orecchio all’ arrivo di atmosfere epiche e potenti. Il riff di apertura di “Battle Gods” è veloce e diretto ed è adatto per fungere da scossa iniziale. Temi e riff taglienti anche per la terza canzone per poi giungere a “ The Aquilonia Suite “. Suddivisa in sei parti per una durata totale di 11:03 minuti, in questa traccia viene ripresa la melodia della colonna sonora di “ Conan il Barbaro ” e contiene tutti gli ingredienti che costituiscono l’ anima dei Domine. “ The Prince In The Scarlet Robe ”, basata sui libri del ciclo di Corum di Michael Moorcock, è un pezzo melodico con un introduzione di tastiera. Un arpeggio di chitarra accompagnato dalla bella voce di Morby, questa volta non altissima, è l’ inizio della sesta canzone, la quale prosegue in modo cadenzato e porta ad un ritornello da folla esaltata. Con “ The Song Of The Swords ” si torna ad un power più diretto e l’ ottavo pezzo è anch’ esso suddiviso in cinque parti. Introdotto da una melodia di chitarra si sviluppa in parti lente e veloci che vedono la presenza della cantante Leanan Sidhe. Dotata di una voce che si adatta bene al genere e si alterna bene a quella del frontman del gruppo, la troviamo anche nella ballata che chiude il disco. Il penultimo posto è occupato da “ True Believer ”, un bel pezzo tirato introdotto dagli acuti di Morby il quale dimostra ancora di avere un’ estensione vocale non da tutti.
Recensione di Mattia Berera
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