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recensione

I Construcdead sono l’ennesima band che dalla data della sua formazione, nel 1999, ha avuto più cambi di line-up che dischi all’attivo. La biografia fornita si dilunga molto, con un gusto quasi à la Beautiful, sulle vicissitudini del quintetto svedese, peraltro senza neppure indicarne la composizione definitiva, tralasciando invece le informazioni di tipo stilistico e musicale che a parere di chi scrive sono molto più utili per inquadrare un gruppo.
Diremo allora che The Grand Machinery è un album di un death alla maniera svedese, con quegli sfiziosissimi orpelli melodici, quei parlati stile crossover e quei ritmi coinvolgenti che tanto si apprezzano nel genere. Il problema è che, nonostante si tratti indubbiamente di un buon album, coinvolgente all’ascolto, molti brani risultino pressoché uguali l’uno all’altro, ed è così difficile riuscire a memorizzare più di un paio di canzoni che “si tolgono” dalle altre.
Alla fine, la sensazione è quella di aver ascoltato un buon album, ma se mi chiedessero di riprodurre il ritmo di canzoni come “The Grand Machinery” oppure “8 Inches Of Flesh”, difficilmente credo ne sarei capace.
Tra i brani che si tolgono dagli altri e sono davvero degni di nota citerei “Treachery”, se non altro per l’inizio lento, la splendida “The Eye Of Revelation” per il ritmo più trascinante e cadenzato e l’ottimo lavoro di voce e chitarre, e “Pater Noster” perché nel ritornello c’è il coretto. Queste tre tracce, peraltro contigue, costituiscono il vero “cuore” dell’album, la direzione verso cui dovrebbero auspicabilmente orientarsi le future opere. Per il resto, solito death trito e ritrito; non resta che attendere il prossimo lavoro della band, e sperare che la formazione messa tanto faticosamente a fatica regga!!!

Recensione di Tiziana Ferro

tracklist

1. Grand Machinery
2. A Cog In The Machinery
3. The Lustfull
4. In A Moment Of Sobrietà
5. 8 Inches Of Flesh
6. The Cynical Revolution
7. Treachery
8. The Eye Of Revelation
9. Pater Noster
10. Rusty Armour
11. Forever Cin
12. Hatelist