A guardare la copertina di questo disco i presagi non sono dei migliori, essa infatti incarna una serie di stereotipi tipici del metal che si sono creati durante gli ormai svariati anni di storia che questo genere ha alle spalle, ma, già dal primo ascolto questa opinione deve, almeno in parte, essere rivista.
La prima traccia presente consta di un’intro un po’ poco decifrabile negli intenti poiché mette insieme alcuni elementi che non paiono avere molto in comune, ma tralasciamo queste sottigliezze e concentriamoci sul prodotto vero e proprio.
Il primo pezzo, intitolato “Dear Mr. Devil” porta in se le caratteristiche del metal classico, frammisto ad un tocco di hard rock ed una sfumatura power, che emerge per lo più nel ritornello. La voce si sposa bene con le parti strumentali e ricorda quella di Rob Halford nelle tonalità più basse.
Al terzo posto si trova “Down & Dirty”, pezzo coerente al primo, anche se meno trascinante e con un maggiore spicco delle tonalità hard rock.
“Fearing The Fear Of My Fears”, oltre ad un titolo alquanto tedioso, presenta caratteristiche che si distanziano di più dagli altri pezzi (comunque non eccessivamente) in quanto presenta un ritmo più rallentato e riffs dall’intento più cadenzato e pesante, l’atmosfera che si respira è simile a quella creata in vari pezzi di “Brave New World” degli Iron Maiden, forse anche a causa del fatto che la voce assume caratteristiche similari a quelle di Dickinson (sempre in tonalità ribassate). Inoltre il ritornello non presenta le aperture power tipiche degli altri pezzi (facendolo risultare forse più coeso).
Nella strofa di “The Fallen One” si registra un tentativo di incattivire i toni, abbastanza raggiunto dalla voce, ma non completamente dalla parte strumentale che resta moscetta. Il ritornello, nonostante l’attenzione melodica sembra sedersi su se stesso.
“Lights And Shadows” fa emergere molte delle caratteristiche positive del singer che, non per la prima volta, si rende autore di una prestazione mediamente superiore rispetto alla resa delle parti strumentali.
Al settimo posto si trova Dive Into The Flame”, che presenta caratteri più rock, peccato che il risultato sia inficiato dalla solita mancanza di pregnanza strumentale.
E giungiamo ora alla title track che si colloca nei toni più tipici di questo gruppo, che però in altri pezzi è stato miglior interprete di se stesso. Di sicuro però questo pezzo ha ottime possibilità live, se suonato bene. Ben piazzate le parti solistiche. Anche in queta traccia la componente Iron Maiden non fa mistero di se stessa.
“Bloody Pretender ricalca in buona parte gli schemi del primo pezzo, anche se questo è più incentrato su un’attenzione melodica e presenta una sfumatura malinconica.
Di “On The Road Again”, dopo un’inizio che si troverebbe a suo agio nella discografia degli AC\DC, scivola su toni quasi da rock radiofonico.
A Questo punto possiamo tranquillamente sorvolare su “I’m Alive” per spendere due parole sulla traccia conclusiva “… Is You”, unica ballata presente nel disco, magari non proprio riuscitissima, ma perlomeno presenta più degli altri pezzi una ricerca di stile personale.
Disco molto organico nel complesso, manca in più punti di un’identità che sia propria, ma i pezzi sono scritti abbastanza bene ed è apprezzabile il tentativo di dire ancora qualcosa riguardo ad un genere che ha la sua età, se contiamo che i riffs più belli se li sono già accaparrati Iron Maiden e Judas Priest, bisogna complimentarsi con i Gun Barrel per essere riusciti a scrivere un disco tutt’altro che spiacevole all’ascolto.
Il livello tecnico dei componenti è adeguato al genere suonato, le parti non ostentano bravure sbalorditive senza però essere banali. Si distinguono leggermente il singer, dotato di buona padronanza vocale e, per quanto riguarda le chitarre, le parti soliste.
La pecca più evidente è la resa sonora degli strumenti che, od a causa di una produzione carente, o perché l le parti sono suonate con poca convinzione, non riesce a far si che i pezzi esprimano il loro potenziale.
Recensione di Lorenzo Canella
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