È finalmente uscito il settimo album registrato in studio dalla band americana e non ha sicuramente deluso gli appassionati di metal progressivo grazie al groove molto più “cattivo” e alle nuove sonorità che sono state introdotte. I sette pezzi che compongono questo lavoro sono accomunati da una rimbombante chitarra distorta e da una batteria che come sempre lascia ben poco da dire. Si parte subito in tiro con pezzo come “As I am”, che può essere definita la nuova “Pull me under”, cioè il cavallo di battaglia dei Dream Theater. In “This dying soul” si nota un chiaro riferimento all’album precedente, “Six degrees of inner turbolence” (2002), e più precisamente a “The glass prison”, riprendendone parti di testo e il violento riff di chitarra, basso e tastiere all’unisono per creare un effetto davvero “cattivo”.
In questo lavoro si può notare un maggior intersse verso i fatti di attualità (rispetto a un “Falling into infinity” (1996), che rimane abbastanza distaccato dall’empireo) coglibile leggendo il testo di “In the name of God”, che tratta la questione dei kamikazee criticando abbastanza pesantemente le religioni che accettano questi sacrifici umani.
Ascoltando questo album non si può non osservare che, purtroppo, anche i Dream Theater hanno dovuto piegarsi al mercato, inserendo in alcuni brani elementi tipici del nu-metal, quali “scretchate” e voci rap. Oltre a questo bisogna fare i complimenti a Kevin Shirley (addetto al mixaggio dei pezzi) che ha saputo egregiamente inserire parti elettroniche che ben si adagiano sulle strutture dei pezzi e contribuiscono a rendere “Train of thoughts” degno del marchio “Dream Theater”.
Recensione di Matteo “Iron” Castellanelli
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