I Pigspeed nascono alla fine degli anni ottanta e sono il risultato delle influenze thrash del periodo, unendo più tardi anche le evoluzioni successive del genere. La musica offerta dalla band nostrana è quindi un misto tra il thrash vecchio stampo di Slayer ed Exodus, ma anche gruppi come S.O.D. e Suicidal Tendencies, con qualche riferimento pure a gruppi tedeschi come Sodom e Destruction, e, andando più avanti nel tempo, ai Pantera, con la voce di Fabiano che tranne nelle linee più aggressive per certi versi è simile a quella di Phil Anselmo. Non manca qua e là anche qualche elemento death che rende più incisivo e cattivo il sound della formazione lombarda.
Nella storia del gruppo si susseguono cambiamenti nella line-up, e dopo un paio di demo nel 2002 arriva questo “Don’t Bring My Soul”, primo e fin’ora unico full-length edito dalla band.
L’album si presenta estremamente vario e parte forte fin da subito con “Mellow Yellow”, buona nei riff accattivanti ed i cori che ricordano Gary Holt e compagni. Più cadenzata la successiva “Angel (From Venian)”, canzone che deve molto alla base fornita dalle due chitarre Fausto e Diego, potente e solida.
“Bloody Minds” porta invece su sonorità più moderne, in cui pur mostrando sempre una buona tecnica la band sembra avere meno incisività, come si vedrà anche proseguendo nel disco. A seguire ecco “Rise From Your Grave” un mid-tempo, sulla falsa riga della precedente “Angel”, salvo un accelerazione verso il finale che è forse la parte migliore del brano, a dimostrazione che i Pigspeed non smentiscono il loro nome e mostrano il meglio nei pezzi veloci. E’ anche per questo che pur essendo un buon brano la titletrack non è certo da annoverare tra le migliori canzoni dell’album, con un andamento sostanzialmente lineare e quasi sofferto rispetto alle tracce precedenti.
Decisamente più vivace è “Pride”, i cui continui cambi la rendono decisamente più apprezzabile (eccetto nel pur breve cantato pulito) pur non offrendo nessuno spunto particolare in più rispetto a quanto visto fin’ora.
Una delle canzoni più riuscite del disco è sicuramente “Infernal Suffering” con le sue parti veloci che mostrano un gran lavoro soprattutto da parte del batterista Kama, un ottimo pezzo che esprime le potenzialità dei Pigspeed nel caso intraprendano la strada che sanno percorrere meglio.
Il ritmo viene poi spezzato da “Subliminal Devastation”, che si dimostra a tratti aggressiva e devastante, con buoni fraseggi di chitarra a completare il tutto.
Molto veloce è invece “Splatter”, un altro buon brano che grazie alle sue accelerazioni, ma anche a riff di ottima fattura si candida tra i più belli di questo lavoro. Il suo opposto è la successiva “Welcome To Your Doom”, il cui inserimento di parti pulite stride e stona terribilmente col resto, per non parlare del tristissimo pezzo sintetizzato a computer.
Ci si risolleva un po’ grazie a “F.O.D.”, un altro piacevole brano dalle ritmiche più lente ma ben impostato e con alcuni fraseggi di qualità da parte delle chitarre. A chiudere questo lavoro arriva “Time (To Kill), la cui introduzione alla Bob Marley poteva a mio parere essere evitata, per il resto una canzone potente che sostanzialmente conferma quanto detto in precedenza.
Per concludere non resta altro da dire su questo “Don’t Bring My Soul” se non che si dimostra un buon punto di partenza, ovviamente se i Pigspeed decideranno di puntare magari più sulla velocità e sulle doti tecniche dei loro elementi, doti che vengono messe in secondo piano in canzoni più lente che non permettono di esaltare al meglio le loro qualità. Oltre a questo, eliminate soluzioni tipo “Welcome To Your Doom” direi che se ben indirizzata la band possa giocarsi le sue possibilità.
Recensione di Marco Manzi
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