Dalle fredde e malinconiche terre finlandesi ecco arrivare tra le mie mani questo "Since the Day It All Came Down" di una giovane (e abbastanza sconosciuta) band chiamata Insomnium. Gruppo nato per volere del chitarrista Ville Friman, dell'ottimo drummer Markus Hirvonen e del cantante/bassista Niilo Sevanen. Dopo alcuni demo e l'inserimento in formazione del secondo chitarrista Ville Vanni la band ottiene un contratto con la Candlelight e rilasciano il debut nel 2001 intitolato "In the Halls of Awaiting".
Una breve intro pianistica ("Nocturne", molto gothicheggiosa) ci porta alla prima traccia del disco l'ottima "The Day It All Came Down". Già dall'inizio ci si accorge della pulizia del suono (ogni strumento si sente chiaramente) e della buona prestazione tecnica dei vari componenti. Il pezzo è molto influenzato dal Death di stampo svedese (vecchi Dark Tranquillity soprattutto) con ottime parti melodiche e continue accelerazioni/decelariozioni. Verso metà del pezzo ecco incastonarsi un'ottimo arpeggio acustico che molto deve alla tradizione folk finlandese. Infatti questa è un'altra importantissima componente della proposta del gruppo. Un'altro apreggio ci introduce a "Daughter of the Moon" ma subito viene spazzato via da un buon muro di chitarre con l'ottima voce di Sevanen che sovrasta le bellissime melodie dei due chitarristi. Dopo un verse in mid-tempo un bel tappeto acustico ci porta al melodicissimo ritornello abbastanza sostenuto. Il pezzo scorre bene in tutti i suoi 6 minuti di lunghezza alternando parti più death a parti che a tratti ricordano il gothic (più che altro per la tristezza che permea l'intero lavoro) a degli ottimi intermezzi acustici. Sicuramente una delle canzoni più belle di tutto l'album. La successiva "The Moment of Reckoning" ricalca un pò le orme del precedente pezzo anche se è più lenta e la parte acustica prende il sopravvento. Veramente bellissime anche le varie parti cantate (anche se sarebbe meglio dire sussurrate) con voce pulita che rendono il pezzo veramente bellissimo. Con "Bereavement" si ritorna a premere un pò sull'acceleratore (anche se comunque non è veloce-veloce, ma veloce rispetto al resto del cd) e si notano dei maggiori inserti orchestrali. Dopo un pezzo più tirato e diretto ecco "Under the Plaintive Sky" che ricalca un pò le strade percorse con "Daughter of the Moon" anche se come sempre qualcosa la rende differente dalle altre canzoni: infatti qui troviamo una chitarra acustica che accompagna tutto il pezzo anche nelle parti più vicine al Death Svedese e soprattutto la voce pulita con la quale viene cantato buona parte del pezzo. "Resonance" è un ottimo intermezzo acustico che molto mi ricorda gli Opeth di Still Life. Dopo un pezzo lento ecco irromprere "Death Walked the Earth". Il pezzo all'inizio è un ottimo tributo al Death Svedese che molto deve ai Dark Tranquillity poi evolve e nella parte centrale ecco ritornare la componente acustica con degli ottimi assoli che ben ci conducono verso la fine nella quale il gruppo torna a farsi più pesante. La successiva "Disengagement" è una lunga e triste song che molto deve agli Opeth per la continua alternanza di parti più sostenute e ottime aperture melodiche, con ovviamente la parte folk che qua e là ritorna e che nei minuti finali prende il sopravvento. "Closing Words" è un'altro pezzo abbastanza veloce con un bellissimo ritornello e degli ottimi soli che ci conducono alla conclusiva "Song of the Forlorn Son". Una triste melodia di tastiera ci conduce a quello che indubbiamente è il pezzo più malinconico dell'album nel quale il gruppo dà il meglio di sè in fase di arrangiamento, inserendo degli ottimi accompagnamenti di tastiera oltre alle sempre bellissime parti melodiche e acustiche.
Questo è un bellissimo album, vario, personale, molto curato sia in fase di songwriting che in fase di arrangiamento. E' bellissimo notare anche come un gruppo "sconosciuto" riesca a proporre un album fresco e soprattutto longevo senza per contaminare il proprio suono con elettronica o altre cose simili. Speriamo che ci siano più spesso uscite come questa!
Recensione di Simone Bonetti
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