Cari lettori di Holy Metal, quello che, con immenso piacere, mi accingo a recensire, è uno dei ritorni discografici più attesi: ebbene sì amici la “Vergine di Ferro” è nuovamente tra noi, sempre più agguerrita ed in perfetta forma.
Era dal lontano 2003 che tutti i fans della band attendevano l’uscita del nuovo album della band britannica. Ma tale attesa sarà pienamente ripagata dall’ascolto della nuova creatura uscita dalle menti geniali di Harris & soci. Ma lasciamo che sia la musica a parlare.
L’album si apre alla grande sulle note di “Different World”, un pezzo in pieno stile Maiden che, grazie ai suoi riff rocciosi e trascinanti, dei chorus che entrano in mente immediatamente ed una struttura ritmica realmente titanica, sprizza energia ed adrenalina da ogni singola nota.
Si prosegue alla grande con “These Coulours Don’t Run” e “Brighter Than A Thousand Suns”, una coppia di brani il cui intro molto atmosferico fa da tappeto sonoro per l’incedere impetuoso delle tre asce del gruppo, Murray, Smith e Gers, coadiuvati dal maestoso lavoro della sezione ritmica guidata da sua maestà Harris e dall’ipertecnico Nicko Mc Brain. Ottima anche la sezione strumentale centrale che sembra quasi dettare i tempi per i funambolici duelli di chitarra che, se proposti dal vivo, daranno al pezzo un’aurea veramente epica.
Ed ecco che si ritorna in pieno “Maiden style”con “The Pilgrim”, un ottimo mid-tempo scandito da degli ottimi solo e da dei chorus molto trascinanti. Giunge poi la splendida e visionaria “The Longest Day”, brano dedicato allo sbarco in Normandia, scandito da un’alternanza di ritmi atmosferici ed improvvise accelerazioni, con dei chorus creati appositamente per essere urlati a squarciagola e con un Dickinson in piena forma che offre un’ottima prova vocale.
Ma il vero capolavoro arriva con la splendida ed atmosferica “Out Of The Shadows”, una ballata che farà tornare in mente ai vecchi fans dei classici come “Children Of The Damned” e “Revelations” e che, con un ritmo molto cadenzato, scandito dal titanico lavoro dietro le pelli del geniale ed eclettico Nicko Mc Brain, diventerà a sua volta un altro dei tanti cavalli di battaglia della band.
Segue a ruota “The Reincarnation Of Benjamin Breeg”, il singolo che ha annunciato l’uscita dell’album, un brano in pieno stile anni ’70 che grazie ad un ottimo arpeggio iniziale che detta i tempi di entrata degli altri strumenti e stende un ideale tappeto sonoro per l’indemoniata ugola di Dickinson, riesce ad essere interessante ed orecchiabile, senza però cadere nello scontato. Ma la vera chicca la band l’ha riservata per la chiusura dell’album: infatti ecco giungere una triade di pezzi in cui il gruppo, grazie agli ottimi duelli chitarristici delle tre asce del gruppo, ad una struttura ritmica veramente sconvolgente ed a dei chorus veramente trascinanti che faranno tornare in mente i vecchi fasti di Brave New World, si avventura sui lidi della musica progressive, senza però snaturare il proprio stile: “For The Greater Good Of God”, introdotto dal basso del divino Harris, “Lord Of Light”, introdotto da un ottimo ed atmosferico arpeggio di chitarra ed infine “The legacy”, con il suo intro atmosferico e cadenzato che lo rende molto cupo e quasi inquietante.
Per concludere non mi resta che sottolineare che A Matter Of Life And Death è un album praticamente perfetto, dove ogni cosa sembra avere una sua posizione particolare, ogni pezzo ha una sua precisa ragion d’essere: insomma se questo non è un capolavoro, poco ci manca. Sicuramente qualcuno dirà che è il solito album dei Maiden: io posso solamente dire a costoro che gli Iron Maiden sono stati “l’unico gruppo” che non si è mai venduto al mercato ed ha cercato sempre di rimanere fedele al proprio stile, pur correndo il rischio, a volte, di produrre degli album che alcuni non hanno considerato, prendendo una cantonata grossa come la statua della libertà, essere non molto validi. Non resta che attendere la loro calata a Dicembre per urlare tutti insieme: UP THE IRONS!!!!!!!!
Recensione di Donato Tripoli
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