La band svedese dal nome più lungo in assoluto (gli one man army and the undead quartet, per gli amici semplicemente One man army), è tornata!
E ci hanno anche messo poco a rifarsi vivi: il loro primo album, 21st century killing maschine, era stato dato alle stampe soltanto un annetto fa.
Il disco hanno deciso di chiamarlo Error in evolution, ma mi sa che dal punto di vista sonoro e di contenuto, i nostri nordici amici, di errori ne hanno fatti veramente pochi.
Quello che sto recensendo è un ottimo esempio i death metal melodico con chiare influenze hard rock e un pizzichino di sano hardcore. Il vocione di Johan Lindstrand e i riffoni possenti di Mikael Lagerblad, trasportano “amabilmente” l’ascoltatore per tutta la durata del CD.
Le canzoni sono molto belle e le ritmiche orecchiabili, tanto che risulta veramente difficile trattenersi dal tenere il tempo col piede durante l’ascolto.
Questi quattro musicisti, si destreggiano alla perfezione sia sulle ritmiche potenti e veloci tanto care al death metal che su quelle più lente e tranquille tipiche dell’hard rock ottantiano.
L’amore dei One man army per l’hard rock, è dimostrato dalla bellissima cover di He’s back (the man behind the mask) di Alice Cooper. Ma anche da un dettaglio che, mi sa, non è del tutto casuale: la seconda traccia, è stata intitolata Knights in Satan’s Service. Le prime lettere di questa “affermazione” compongono la parola KISS. Questa frasetta ai Kiss di Gene Simmons, portò un bel po’ di problemi: i benpensanti americani accusarono la band di satanismo perché ritennero (fecero tutto loro) che il nome del gruppo significasse proprio cavalieri sotto l’egida di Satana.
Il singer si destreggia alla perfezione sia con la voce pulita che con il growl e a tratti, come in Suck a sick boy, le sonorità si spostano su tematicho molto vicine al hardcore.
Insomma l’eclettismo nel sound dei One man army la fa decisamente da padrone.
Le aspettative dei fan degli One man army non verrano deluse, error in evolution è un ottimo disco. Inoltre mi permetto di consigliarlo un po’ a tutti: il buon metal va sempre ascoltato e sostenuto.
Peccato solo che l’artwork faccia un pochettino pena.
Recensione di Elisa Mattei
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