Dopo aver militato negli Steeler per tutti gli anni ottanta, Axel Rudi Pell, guitar hero tedesco, prosegue la sua carriera intraprendendo la strada solista. Dopo due album molto buoni, nel 1992 pubblica questo “Eternal Prisoner”, coadiuvato da due fuoriclasse come Jorg Michael dietro le pelli e soprattutto Jeff Scott Soto dietro il microfono.
Ed è proprio quest’ultimo, accanto al chitarrista, a farsi protagonista di una performance fantastica durante tutto il corso dell’album, esaltando al massimo la sua vocalità alta e potente. L’inizio non sarebbe potuto essere più esplosivo, con l’incalzante up-tempo di “Streets Of Fire”, costruita su un riff impetuoso e arricchita dalla prestazione di Soto, che vola altissimo, aggressivo, urlando il grande chorus. “Long Time” è inaugurata da un riff mastodontico in cui si snodano linee vocali dittatoriali, chorus pachidermici e mitragliate chitarristiche distruttive. La title track è il manifesto cadenzato e potentissimo della musicalità del chitarrista: andamento magnifico e raffinato, grandi chitarre atmosferiche, ritmica totalitaristica, e un Jeff Scott Soto che infonde tutta la sua potenza nella migliore prestazione dell’album, tra l’inciso denso di una toccante emozionalità e il veemente refrain capace di aprire crepe nel cielo: brano magnifico! Tocca alla celestiale ballad “Your Life”, ed anche qui si tocca la perfezione con un dito, merito soprattutto di Soto, che sprigiona un sentimento inaudito che viene potenziato dalla carezzevole ma virile fraseggio di Axel Rudi Pell. Heavy rock di tradizione Gary Moore/Rainbow per “Wheels Rolling On”, mentre “Sweet Little Suzie” vede il grande chitarrista in sfolgorante spolvero, con riferimenti all’hard blues stradaiolo americano, e sembra di sentire i Whitesnake più torridamente statunitensi, tranne che nel gradevolissimo intermezzo percussionistico di Jorg Michael:globalmente, la più eccelsa prestazione di tutto il disco.
In “Dreams Of Passion” è il dolcissimo pianto strumentale di una chitarra perfetta che sembra quasi prendere vita nei suoi sentimenti. Ci pensa “Shoot Her To The Moon” a riportare le sonorità all’heavy metal d’attacco più irruente, con un riff monumentale e grandi voci e contro-voci, mentre “Ride The Bullet” conclude il disco con un hard’n’heavy dinamico e titanico, inciso coinvolgente, riff incorruttibile, Soto guerresco, ritmica quadrata e cori gradevoli, che lasciano l’arrivederci all’assolo fulminante di Axel. Il miglior album della sua discografia, con canzoni memorabili e prestazioni al fulmicotone.
Recensione di Marco Priulla
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