Siamo giunti al quarto album della band di Mark Jansen e dell'avvenente Simone Simons, il primo dopo il passaggio alla Nuclear Blast, e la cui produzione è stata curata con ottimi risultati da Sascha Paeth. "The Divine Conspiracy" prosegue seguendo quello che è lo stile della band olandese (terra molto florida per questo genere, come dimostrano anche Within Temptation ed After Forever), tra sinfonie orchestrali, melodie, e la sinuosa voce soprano di Simone, opposte a parti più heavy, merito della chitarra di Mark e dei suoi growl in stile Death Metal.
Dopo la pomposa intro "Indigo", già con "Obsessive Devotion" si vede come la ormai rodata macchina messa in moto dagli Epica sia in grado di amalgamare bene tutti questi elementi, mentre il duetto tra Simone e Mark è esaltato dalla ariosa e mistica atmosfera creata dalle tastiere. Decisamente più oscura ed aggressiva è "Menace Of Vanity", non solo grazie alla voce del cantante/chitarrista, ma anche per quanto riguarda Simone, che segue il ritmo indiavolato di Ariën van Weesenbeek alla batteria ed i frequenti cambi che caratterizzano questo pezzo.
La seguente "Chasing The Dragon" è invece una semi-ballad trasognata in cui diverse melodie si intrecciano a fare da sfondo alla delicata voce di Simone, accompagnata in un paio di accelerazioni dai growl del fondatore della band, in quello che è a mio avviso uno dei migliori pezzi di questa prima parte del disco.
Dopo "Never Enough", la canzone che col suo video ha aperto la strada all'album e che forse anche per il suo carattere più commerciale ricorda molto nello stile le ultime due produzioni dei compatrioti Within Temptation, troviamo un quartetto di brani che come suggerito dai titoli (The Last Embrace, The Embrace That Smothers Pt. VI, VII e IX rispettivamente) riprendono tematiche del primo album del gruppo.
Si parte da "La Fetach Chatat Rovetz", che è una breve introduzione strumentale dal tono orientaleggiante alla successiva "Death Of A Dream". Questa è forse la canzone dove si esprime al meglio Mark, grazie alla sua natura aggettante e aggressiva, ed anche Simone non è da meno, seguendo il ritmo "singhiozzante" dato da chitarre e batteria alternando nella sua voce stili diversi con ottimi risultati. "Living A Lie" nonostante continui il duetto tra growl maschile e l'angelica voce di Simone, risulta più serena, merito delle sinfonie prodotte da Coen Janssen alle tastiere, assumendo una certa religiosità con la preghiera che ne spezza in due il ritmo, con la seconda parte dove è più presente la parte orchestrale.
A chiudere questo piccolo ciclo ci pensa “Fool Of Damnation”, in cui almeno all’inizio è forte la componente orientaleggiante nella musica, mentre Simone da sfoggio ancora una volta del suo dono di natura con un ottima prestazione vocale. Il brano è simile nell’impostazione ai due precedenti, ma non per questo manca di originalità, ed anzi è forse il più convincente tra I brani di questa terna, con le sue melodie intervallate come sempre da parti più incalzanti e tirate e dai cori.
“Beyond Belief” permette di esaltare la voce della cantante nelle parti più lente, mentre protagonista è qui la chitarra di Mark coi suoi riff, oltre alla pomposità dei cori. Si prosegue con la ballad “Safeguard To Paradise”, le cui sinfonie trasudano un emotività che si riflette nel tono melodioso della voce della rossa singer.
L’accoppiata finale rappresenta poi il momento più alto del disco, con “Sancta Terra” che a mio parere si presterà molto bene come pezzo da suonare dal vivo, con le sue vivaci melodie frutto della combinazione tra tastiere e i cori che le infondono una misticità degna del suo nome, ed infine la lunga quando complessa titletrack, un brano che si avvicina al quarto d’ora, e che racchiude in sè tutto quanto rappresenta gli Epica del 2007. L’ariosità della parte iniziale, lascia poi spazio a tutti quegli elementi che abbiamo potuto ascoltare durante il resto dell’album, dalla martellante batteria che è la base per i cori e per le sfuriate di Mark, alle più lente ed evocative melodie soffuse in cui protagonista è la voce femminile, il tutto mescolato alla perfezione in quello che si presenta come uno dei brani migliori realizzati dalla band.
In definitiva l’impressione che dà questo nuovo “The Divine Conspiracy” è senza dubbio più che positiva e convincente, per una band che dimostra di conoscere e saper sfruttare al meglio le proprie possibilità, sfornando infatti un lavoro che si presenta come evoluzione e arricchimento dei precedenti. Consigliato a tutti i fan del genere.
Recensione di Marco Manzi
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