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Stratovarius + Hammerfall - 11/27/2005 - Alcatraz - Milano

Un po’ in ritardo, alle 19:30 circa, arrivo all’Alcatraz, noto locale milanese in cui questa fredda giornata di novembre sembra perfetta per ospitare due famosi gruppi nordici che ci offriranno circa quattro ore all’insegna del power metal.
Quando entro, la band che ha il compito di aprire la serata per Hammerfall e Stratovarius è già nel vivo della performance sul palco di questo Alcatraz che trabocca di gente.
Gli Shakra, formazione a cinque, propongono un genere heavy metal/hard rock e purtroppo posso dirvi poco di più a riguardo dato che sono riuscito a seguire solo tre o quattro brani. Tuttavia potrei affermare che le canzoni mi sono sembrate interessanti con una struttura non complessa grazie alla quale i brani sono facilmente assimilabili.

Passiamo ora a un gruppo svedese tanto atteso dalla folla già ben calda.
Si apre il sipario e davanti a noi appare una scenografia accuratamente preparata per ricreare l’atmosfera evocata nell’ultimo album degli Hammerfall.
Ed ecco che con un’introduzione in sottofondo i membri del combo svedese si presentano sul palco, Anders Johansson domina dall’alto della sua batteria a quattro casse mentre ai suoi lati tra le rocce innevate sbucano i due chitarristi Dronjak e Elmgren; il frontman Cans e il bassista Magnus Rosén si precipitano on stage e comincia così Secrets tratta da Unbent, Unbowed, Unbroken, ultima fatica della band.
L’emozione e tanta e aumenta ancor più con Riders of the Storm, la opening track di Crimson Thunder. La band sembra complessivamente in forma e il calore dei fan italiani non fa altro che trasmettere ulteriore energia al gruppo.
Il rombo di un’ Harley fa presagire l’avvento di Renegade che dà inizio alla serie di grandi hit tra cui Let The Hammer Fall e Hammerfall. È ora il momento di una breve pausa, ma non per il batterista il quale col suo assolo giocherella con la folla. Da ritmi per incitare i presenti si passa ad accenni di canzoni note come Run To The Hills, cantata in coro da tutti, e altre melodie degli Hammerfall.
È il momento di tornare in scena, la band ci suona altre perle come A Legend Reborn, Fury of The Wild e Blood Bound; ma è con gli ultimi tre cavalli di battaglia che il pubblico si esalta al massimo, vale a dire Heeding the Call, Templars of Steel e Hearts on Fire che va così a chiudere una buona performance penalizzata solamente in alcuni punti dalla voce che non sempre riusciva a raggiungere certe tonalità presenti nelle registrazioni in studio.
I cinque figli del martello ci salutano appagati, il sipario si chiude per il cambio palco mentre le persone gironzolano e discutono in compagnia di un sottofondo musicale che passa dalla pessima Amerika dei Rammstein all’eccellente Highway To Hell degli AC/DC.

Ora tocca agli headliner solcare il palco assetato di un’ottima performance in seguito alle buone prestazioni dei gruppi precedenti.
Il buio che avvolge tutto lascia che l’attenzione venga attirata dai due schermi posti rialzati ai lati del palco davanti ai quali si posizionano due figure: una è quella del bassista nuovo entrato Lauri Porra mentre l’altra è la sagoma inconfondibile della mente del gruppo, Timo Tolkki.
Tutto s’illumina e la band ci spara in faccia Hunting High and Low che funge da scintilla che fa esplodere il locale in un furore travolgente. A fine canzone il pubblico in delirio non ha neanche il tempo di respirare perché viene subito colpito dalla fulminea Speed of Light tratta da Episode, uno dei miei album preferiti degli Stratovarius.
Si prosegue con Kiss of Judas e S.O.S. seguite dall’ultima nata Maniac Dance, certamente non paragonabile ai vecchi componimenti. Tuttavia la carica dei cinque membri contagia la folla grazie all’affiatamento che gli Stratovarius dimostrano di aver ritrovato al loro interno. Il leader Tolkki appare partecipe e divertito, diversamente da quanto avvenuto al Gods of Metal 2004 in cui il chitarrista era totalmente isolato dal resto del gruppo.
Ancora due pezzi, Destiny e Legions per poi lasciar spazio all’assolo di basso di Mr. Porra, un normale assolo per gli amanti del basso solista mentre da me accolto come un intervallo per sedermi un momento.
Si riprende, un cavalletto per sostenere una chitarra acustica e inizia così Coming Home, la prima ballad della scaletta, anche questa magnificamente eseguita. Viene suonata Twilight Symphony scritta nel lontano 1995 e poi arriva un brano da me inatteso ma accolto con un sorrisone sulle labbra dato che si tratta di una delle mie canzoni preferite, Father Time, un tipico pezzo tirato di stampo Strato a cui segue una breve pausa.
Di nuovo la chitarra acustica entra in scena e Kotipelto dice:”Dietro le quinte mi è sembrato di aver sentito qualcuno cantare…” Tolkki attacca con l’accordo e il singer:”…like the birds in the sky…”; un breve accenno a Paradise per poi cedere il posto alla ballata per antonomasia, Tolkki, Kotipelto e Johansson eseguono un’ottima Forever conosciuta anche dai muri.
Segue Eagleheart e l’immancabile hit di chiusura, Black Diamond; dopo un’inotroduzione di tastiera Jens Johansson attacca con la famosa melodia, si sente un errorino forse dovuto a un tasto mancato nell’eseguire l’accordo, ma poi tutto procede nei migliore dei modi fino a fine concerto.
Un Kotipelto in ottima forma ci saluta soddisfatto e la gente comincia a uscire chiacchierando e commentando uno show complessivamente apprezzato da tutti.

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Report a cura di Mattia Berera

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