In questa giornata primaverile HolyMetal passerà una serata al Rainbow Club di Milano per assistere allo show dei Jon Oliva’s Pain, la band di un grande artista, è proprio il caso di difenirlo un vero pozzo di creatività.
Alle 20:10 con il locale ancora semivuoto attacca il gruppo spalla, gli italiani Elvenking; all’inizio la risposta del pubblico sembra un po’ freddina ma dopo qualche brano gli spettatori cominciano a farsi più numerosi e a scaladarsi. Io non avevo mai sentito questa band ma noto che i fedelissimi non mancano accogliendo con piacere sia i pezzi vecchi che quelli più recenti. Gli Elvenking ci offrono un power metal standard con il violino che funge da elemento caratteristico, a mio parere è proprio grazie a questa peculiarità che il gruppo riesce a uscire dalla massa e a farsi notare dato che per quel che riguarda il resto non ho riscontrato molti ingredienti innovativi. Comunque verso la fine della prestazione il pubblico è notevolmente aumentato e alle 21 circa i nostri italiani ci salutano complessivamente soddisfatti.
Dopo una breve pausa per i necessari aggiustamenti tecnici, in cui per l’ennesima volta viene messo l’album di debutto dei Rage Against The Machine, attraverso una porticina che dà sul retro si cominciano ad intravedere volti noti tra cui l’inconfondibile profilo del mastermind.
Alle 21:30 le luci si abbassano e una melodia s’innalza assieme alle voci entusiaste dei presenti, eccoli salire sul palco, per ultimo Jon Oliva che saluta e senza un attimo di respiro cede la parola al chitarrista Laporte il quale con un riff leggendario inietta una pesante dose di adrenalina negli animi dei presenti. Mi viene la pelle d’oca e quando il frontman prende la parola con “Jesus was a talker just an out-of-place New Yorker…“ non riesco veramente a distogliere lo sguardo dal mitico signor Oliva i cui gesti ritmate accompagnano il testo, nessuno trattiene l’emozione e chiunque prende parte al boato Jesus Saves. Appena si conclude il brano si avverte un’atmosfera di rilassamento post-shock emotivo e la star della serata ringrazia di cuore per il caloroso benvenuto.
Dopo aver risolto un piccolo inconveniente riguardante il volume di un microfono si continua rimanendo nella carreggiata di Streets, di nuovo tocca al chitarrista spararci in faccia il classico heavy metal riff di Agony and Ecstasy, anche qui il termometro emotivo segna alte temperature che salgono ancor più con l’esecuzione del brano seguente. Questa volta è il piano in primo piano, bastano poche note per attivare i fan le cui urla spinte dall’esalto non trovano difficoltà nel coprire la melodia di Tonight He Grins Again; la maestria esecutiva del gruppo non lascia spazio ad alcuna critica negativa e dopo questa triade tratta dal lontano 1991 si passa al più recente ‘Tage Mahal. Ovviamente l’affetto del pubblico verso i nuovi pezzi non è paragonabile a quello che lega gli adepti alle grandi hit del passato, tuttavia anche durante The Dark l’audience riconsegna al “Re della Montagna” un buon quantitativo di energia; a questa eccellente opening-track del primo e per ora unico album dei Jon Oliva’s Pain segue People Say - Gimme Some Hell, un altro pezzo pescato dallo stesso disco, a mio parere un ottimo prodotto.
Un arpeggio di chitarra ci catapulta di nuovo indietro di qualche anno, siamo nell’epoca di Gutter Ballet e quando Thorazine Shuffle si fa pesante la folla segue facendo il coro alla melodia presente all’interno del riff ritmico; per l’ennesima volta devo ribadire che la prestazione è delle migliori, il buon Jon è espressivo come non mai anche se qualitativamente e quantitativamente è diventato leggermente più avaro per quel che riguarda gli acuti, fatto comprensibile e a mio parere anche accettabile dato che i toni altissimi non credo siano stati i fattori base del suo stile per cui il nostro personaggio ha raggiunto il successo. Altre due canzoni vengono pescate dal medesimo disco, Hounds e il cavallo di battaglia Gutter Ballet, il tema di piano e le espressioni facciali di Oliva ci danno degli spunti fino a quando folla e Jon danno vita alla famosa melodia. I colpi imponenti accendono il clima, i sei musicisti danno il meglio di loro stessi offrendoci uno dei migliori componimenti della band statunitense capitanata dai fratelli Oliva. Da segnalare l’opera dell’axeman Matt Laporte che più di ogni altro svolge un ruolo fondamentale tra i ranghi dei Jon Oliva’s Pain. Il monumentale chitarrista è in perfetta sintonia con lo stile del frontman e lo dimostra sia negli arrangiamenti dei nuovi pezzi che nel ruolo di sostituto di Criss Oliva. Un composto di abilità tecnica, tocco sopraffino e senso della melodia fanno di Laporte un chitarrista completo, adatto a tutte le occasioni, dalle canzoni più heavy a quelle dominate dalla tranquillità pianistica.
Torniamo bremente ai giorni nostri con Father, Son, Holy Ghost che per questa serata rappresenta l’ultimo motivo tratto da ‘Tage Mahal, mentre è invece Streets a far da padrone riproponendosi con New York City Don’t Mean Nothing e la romantica Believe. Scavando ancor più nel passato troviamo la title track det debutto Sirens e The Dungeons Are Calling che vanno apparentemente a chiudere lo show.
Pochissimi minuti di pausa ed ecco i sei beniamini di nuovo on stage, Jon Oliva siede per l’ennesima volta al piano e ci punzecchia con un riff che in realtà appartiene alle sei corde, tutti se l’aspettavano e LaPorte dà avvio a Hall Of The Mountain King. Con questa grande hit la band ci saluta molto soddisfatta dalle positive reazioni dei presenti e anche io posso dire che le mie aspettative non sono state di certo deluse.
Report a cura di Mattia Berera
Siamo alla ricerca di un nuovo addetto per la sezione DEMO, gli interessati possono contattare lo staff di Holy Metal, nel frattempo la sezione demo rimane temporaneamente chiusa.