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King Diamond + Thunderbolt + Griffin - 5/26/2006 - Live Club - Trezzo (MI)

Prima di entrare nel locale troviamo un cartello che dice “no bottiglie, no foto, no telecamere”, ovviamente si pensava che il divieto fotografico fosse destinato al pubblico mentre i roadie di King Diamond avevano imposto il divieto perfino agli accreditati per il photo pass, come nel caso del mio amico.
Dopo vari disguidi e qualche telefonata grazie al personale del locale e agli organizzatori si riescono a risolvere i malintesi e finalmente possiamo entrare senza dover riportare in auto la macchina fotografica.

Alle 21:30 circa è il turno dei Griffin, band norvegese che si presanta sul palco bella carica e subito dopo l’intro ci spara in faccia Fleet Street Superstars. Il locale presenta già un buon numero di persone alcune delle quali rispondono bene alla proposta dei cinque ragazzi scandinavi; il tempo a loro disposizione è buono e permette loro di suonare 7 pezzi tra cui Dungeon e la title-track dell’ultimo disco LifeForce, poi ancora New Boss, The Sentence, Prase the Train e si va a chiudere con la cover di un noto brano dei Judas Priest, Hell Bent for Leather. Breve pausa per i dovuti aggiustamente tecnici e poi ecco tra noi i Thunderbolt, anch’essi proveniente dalle lande del nord. Quaranta minuti circa anche per loro in cui la band può proporre un discreto numero di brani, il gruppo entra in scena accompagnato da un intro, ma questa volta gli occhi puntati sul palco sono nettamente aumentati, otto brani pescati da Days of Confusion e dall’ultimo Love & Destruction, una buona performance portata a termine dai Thunderbolt che col loro heavy metal hanno scaldato l’atmosfera per la star della serata. Entrambi i gruppi credo si possano ritenere soddisfatti dall’accoglienza ricevuta ma ora, alle 11 circa, si sentono dei rumori sinistri provenire dalla cantina, qualcuno si sta svegliando, è meglio lasciar libero il palcoscenico e andare a nascondersi tra le ragnatele.

Finalmente è giunto il momento tanto atteso, dopo anni di esilio il Re torna in Italia per dimostrare che la corona gli appartiene. La luce si affievolisce, una musica tenebrosa e ripetitiva con dei battiti dall’oltretomba ci immerge nell’atmosfera del macabro teatrino; quattro figure incappucciate fanno il loro ingresso trasportando e depodendo la bara bianca contenente la povera Abigail, montano delle grate davanti al palco e se ne vanno sempre accompagnati dalle cupe sonorità.
Basta una nota per accendere gli animi dei fedelissimi mentre una creatura misteriosa si piazza al centro dello stage, raccoglie la bambola Abigail, col labbiale segue la narrazione di Funeral recitando “We are gathered here tonight…” e conclude infilando il pugnale in bocca alla povera bimba.
Arrivano anche gli altri musicisti che ci trasportano nel 1848 offrendoci una serie di perle tratte dal noto masterpiece, si apre con Arrival, segue A Mansion in Darkness e poi Andy LaRocque prende la parola e si lancia nella ritmica di The Family Ghost, anche qui un’esecuzione impeccabile. Due piedistalli per chitarre acustiche appaiono sul palco e mentre il signor LaRocque si occupa dell’arpeggio Mike Wead cura la melodia per regalarci Black Horsemen, anche l’attrice è sul palco, interpreta Miriam Natias in LaFey che sta per partorire la bambina maledetta, la sua nascita segna la fine dei brani tratti dallo storico Abigail.
Le maligne tastiere accompagnano la narrazione di O’Brian, il ticchettio d’orologio e il temporale di Spare this Life ci guidano verso Abigail II – The Revenge, il pubblico accoglie con immenso piacere A Mansion in Sorrow e il Re Diamante non ci toglie la soddisfazione di cantare il ritornello. Il pianto della piccola che vuole tornare a casuccia chiude questa breve parentesi, l’outro del disco Sorry Dear chiude il capitolo dedicato alla dannazione della famiglia LaFey.
Si cambia completamente ambito andando a pescare Come to the Sabbath dei Mercyful Fate, anche questa veramente apprezzata da tutti, ma si torna subito nell’epoca solista dell’ormai cinquantenne Kim Bendix Petersen, Eye of the Witch è l’unico brano tratto da The Eye, la nota opening track che vede di nuovo la partecipazione dell’attrice nel ruolo della strega. Anche qui i musicisti non lasciano trapelare alcun segno di cedimento, il sorridente Andy nella classica posizione leggermente incurvata viene calorosamente acclamato dalla folla e risponde a suon di assoli e ritmiche eseguite con maestria certosina. Mike Wead dimostra di non essere da meno anche se ovviaente non è amato come colui che accompagna il Re da Fatal Portrait a oggi. La sezione ritmica si fa sentire, le corde di Hal Patino sono le fondamenta del regno del sovrano danese e lo statunitense Matt Thompson batte colpi dalla buia cantina.
Un assolo di batteria e poi si riprende con con Sleepless Nights da Conspiracy del 1989, un’ottima performance e complimenti anche alla corista che quasi nascosta a lato del palco ha comunque fatto la sua parte durante l’intero spettacolo. Per la mia gioia arriviamo finalmente all’ultimo album da cui vengono pescate Blood to Walk e So Sad, in quest’ultima King Diamond siede sul palchetto rialzato assieme alla sua amata Victoria, racconta dei felici momenti passati e s’incupisce pensando al presente, tutto per colpa di Laszlo, il perfido burattinaio.
L’arpeggio finale di Living Dead segna l’ennesima uscita di scena della band che fa poi un nuovo trionfale ingresso con Welcome Home, un nuovo ruolo spetta alla ragazza che con maschera da vecchia siede sulla carrozzella e intrerpreta la nonna malata che torna dal nipotino Diamond dopo aver trascorso un lungo periodo nel malsano ricovero. Anche questo veramente un brano eccellente portato a termine con professionalità. Ancora un pezzo da Them, The Invisible Guests e poi ci catapultiamo incantati ad ammirare il ritratto fatale gustandoci una semplice ma efficace Halloween.
Questa volta lo show sembra veramente chiuso e la band ci saluta molto soddisfatta dalla risposta italiana. Qualcosa però ci fa capire che la compagnia teatrale è ancora nei paraggi, le luci non si accendono, i tecnici non smontano nulla, è invece LaRocque che torna in campo e dal cilindro estrae il riff di Evil, di nuovo tutti sul palco per chiudere con la leggendaria opening-track di Melissa, chiunque conosce questo brano e King Diamond non si sente neanche quando è il momento di “I was born on the cemetery…”, il Re non se la prende di certo se per una volta il pubblico ha voluto essere protagonista assumendo il ruolo di cantante dei Mercyful Fate, dopo 23 anni questo pezzo ha ancora un grande effetto sui fan e la band percepisce a pieno l’energia sprigionata da numerosi accorsi. Questa volta il sipario cala definitivamente e all’una circa la folla comincia lentamente a defluire.


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Report a cura di Mattia Berera

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