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Gods of Metal (Domenica) - 6/4/2006 - Idroscalo - Milano

La quarta e ultima giornata del Gods of Metal 2006 è senza dubbio quella meno “metal” in assoluto, la scaletta, a parte i poweriani DragonForce, contiene Nu-metal, Grunge, ma soprattutto, i Guns n’ Roses. Il pubblico presente all’idroscalo è perciò diviso in due, coloro venuti a vedere i loro beniamini, Korn, Deftons e Alice In Chains, e coloro che invece aspettano stancamente la fine della giornata per vedere il loro idolo, Axl Rose.

10 Years
Aprire un festival non è mai un’impresa facile, soprattutto quando si inizia a suonare di domenica alle 9,30 del mattino. I 10Years fanno comunque del loro meglio per risvegliare dal sonno il pubblico con il loro alternative rock. In ogni caso nessuna band riesce a lasciare il segno avendo a disposizione solo un quarto d’ora per fare il proprio spettacolo.
(Tommaso Bonetti)

Benedictum
Puntuali alle 10:00 cominciano a suonare i Benedictum, gli americani sfoggiano un buon heavy metal vecchio stampo con l’ottima presenza scenica di Veronica Freedman. Punto di forza della band è senza dubbio la sei corde di Pete Wells, vero e proprio riffmaker, il chitarrista si aggiudica anche il premio per aver scatenato il primo tiepido pogo davanti alle transenne, con grande rammarico delle donzelle sdraiate sugli asciugamani all’interno del polmone (anche oggi, infatti, è stato riservato lo spazio davanti al placo per i primi tremila). L’unico rammarico per questa band suonando all’inizio di una giornata praticamente nu-metal non hanno ricevuto l’attenzione che avrebbero meritato.
(Tommaso Bonetti)

Hellfueled
I quattro svedesi che rispondono al nome di Hellfueled colpiscono soprattutto per la somiglianza tra il timbro vocale del cantante, Andy Alkman, con quello di Ozzy Osbourne ma niente di più. Il sound di questa band è comunque ben lontano dai Black Sabbath, offre, infatti, un potente metal-rock sorretto da riff orecchiabili e ritmiche ben costruite. Sarà per la canicola che incombe sopra il palco e per i fan dei DragonForce che stanno attendendo sotto al palco che lo spettacolo degli Hellfueled si chiude purtroppo un po’ nell’anonimato.
(Tommaso Bonetti)

DragonForce
Una delle band più attese della giornata suona subito, i DragonForce salgono sul palco a mezzogiorno preciso aprendo le ostilità con “My Spirit Will Go on”. Il loro extreme power metal scatena subito i fan che hanno ormai riempito almeno il polmone dei tremila, focolai di pogo (non troppo violenti a dire il vero) si accendono un po’ ovunque soprattutto quando i britannici suonano “Fury of the Storm”. I suoni sono ben bilanciati e la band sul palco corre e salta in ogni direzione, “Operation Ground and Pound” sarà ricordato come il brano migliore dello show. Theart, il frontman, è in piena forma e tra acuti da brivido trova anche il tempo di lanciare merchandise autografato sulle prime file. Il concerto, che è durato purtroppo solamente 45 minuti, si è poi concluso con “Through the Fire and Flames” e, ovviamente, “Valley of the Damned”. La band se ne va tra applausi meritati e con la consapevolezza di essere riuscita ad accendere un pubblico che non aveva risposto alle band precedenti. Questo sarà uno dei migliori concerti della giornata.
(Tommaso Bonetti)

Bloodsimple
Questo gruppo non lo conoscevo ma non capisco chi li abbia preferiti ai DragonForce, un sound hardcore - metalcore con elementi nu-metal che mi ha convinto in poco tempo ad andare a pranzo lasciando perdere una buona metà della loro esibizione. La loro musica che richiama a tratti Pantera, Alice in Chains e Radiohead, sarà sicuramente piaciuta ai pochi che sono rimasti sotto palco, ma sicuramente non ha incontrato i miei interessi. La sfortuna della band di Tim Williams è stata inoltre quella di cominciare a suonare in coincidenza con l’orario della prima apertura dei cancelli, molta gente è infatti uscita per andare a pranzare alla propria automobile / tenda / camper / mezzo di fortuna.
(Tommaso Bonetti)

Soulfly
Nel momento più caldo della giornata hanno cominciato a suonare i Soulfly. La band dell’ex-frontman dei Sepoltura, Max Cavaliera, si presenta subito con “Babylon” un pezzo energico per dare subito una scossa al pubblico. L’attenzione di tutti è però concentrata sul nuovo membro della band Joe Nunez che è per la prima volta dietro le pelli dei Soulfly, Nunez non delude suona, infatti, egregiamente cavalli di battaglia come “Prophecy”, “Back to the Primitive” e “Jumpdafuckup”. Lo show tocca il suo apice con “Chaos A.D.”, che tutto il pubblico canta a squarciagola, ma subito dopo tocca anche il suo punto più basso: durante “Refused/Resist” Max pensa bene che per incitare il pubblico basti sfornare una serie di bestemmie degne di Germano Mosconi. I ragazzini sottopalco, purtroppo, sembrano gradire la blasfemia e pogando fanno alzare un gran polverone durante tutte le ultime canzoni “Arise Again”, “Fontlines” e “Riotstarter”.
(Tommaso Bonetti)

Stone Sour
La band nata da due dei principali membri degli Slipknot (Corey Taylor ne è, infatti, il cantante mentre James Root è il chitarrista) si presenta al Gods of Metal con solo un album alle spalle e per riempire i sessanta minuti di performance è costretta a dare fondo a tutto il suo repertorio musicale. Corey e James non sono mascherati come al solito, ma anche in vesti “normali” riescono a dare spettacolo soprattutto quando vengono suonate "30/30 150" e "Come What(ever) May", entrambe canzoni presenti addirittura sul singolo d’esordio della band. Anche se i fan degli Slipknot hanno potuto godere di una versione di “Get This” veramente tirata, il resto del concerto si ferma su un Hard rock semplice, per nulla impegnativo, infarcito solo di grandi slogan anti-Bush e a anti-americani, tanto che, per un attimo, è sembrato di essere al concerto del primo maggio più che al Guns of Metal… ehm… Gods…
(Tommaso Bonetti)

Alice In Chains
Quando alla fine del pomeriggio gli Alice in Chains sono saliti sul palco credo che in pochi avrebbero scommesso sulla prestazione del nuovo cantante. Fisicamente a metà strada fra Lenny Kravitz e Warrick Brown di CSI, William DuVall è stato però in grado di rendere onore al compianto Layne Stale. Lo show si apre subito con due pezzi che hanno fatto la storia del grunge: “Sludge Factory” e “Dam That River”. Il pubblico è in delirio, Jerry Cantrell non sbaglia una nota e subito la band decide di suonare “We Die Young” e “Them Bones”. Gli Alice in Chain non saranno rinati, ma, sicuramente, sono state messe a tacere molte di quelle voci che non vedevano di buon occhio la reunion del gruppo. “Junkhead” e “Down In A Hole” confermano ancora una volta la carica live che il gruppo riesce infondere al suo pubblico. I brani meglio riusciti dello show sono stati sicuramente "Rooster", "Would?" e "No Excuses", peccato che la loro esibizione sia durata solo un’ora scarsa perché avrebbero avuto sicuramente molti altri brani con i quali emozionarci. Emblematica è infatti la scritta sulla scaletta ‘If Time’ (lett: ‘se c’è tempo’) in parte al titolo “Angry Chair”.
(Tommaso Bonetti)

Deftones
La band più discussa nel bill del Gods of Metal non solo delude ma ha anche il coraggio di farsi attendere facendo un sound check lunghissimo (in più durante le prime due canzoni, l'audio, soprattutto della voce, era pessimo). Molti escono per cenare, altri dormono e quasi tutti si preparano per poi sostenere di fila sia i Korn che i Guns ‘n Roses. La band di Sacramento apre lo show con “Korea” facendo così capire a tutti quelli che non li conoscevano che i Deftons sono una band Nu-metal. Bisogna riconoscere però che lo show piace per lo meno ai ragazzini che per il frontman Camillo Wong “Chino” Moreno, vanno letteralmente in visibilio, lo show continua con “My own Summer” e “Beware the water”. Io purtroppo dopo “Hexagram” e “Feiticeira” non ho più avuto la forza di reggerli e me ne sono andato semi-disgustato proprio mentre Chino faceva una passeggiata sopra alle teste di quelli della prima fila. Lo show, che è durato poco più di un’ora (ma che è sembrato non finire mai), è poi continuato con alcune canzoni che hanno caratterizzato l’evoluzione stilistica della band tra cui: “Change”, “Root” e “Nosebleed”. I Deftons hanno deciso di chiudere lo show con “7 words”. Per fortuna che ci sono stati loro così ho potuto cenare senza rimpiangere di essermi perso qualcuno di importante.
(Tommaso Bonetti)

Korn
Il pubblico che è ha partecipato alla quarta giornata di quest’edizione del God Of Metal o era venuto per i Korn o per i Guns n’Roses, e per molti quindi l’attesa adesso è finita. Il sound check stavolta è rapido ed efficace e sul palco vengono allestite ben due batterie, una normale e una per il percussionista (con gong, xilofoni, bonghi e campane tibetane).
I Korn che salgono sul palco sono veramente tanti, oltre a Jonathan e gli altri due componenti storici ci sono altri tre musicisti mascherati rispettivamente da cavallo, maiale e coniglio ed un quarto con una maschera anonima. Se qualcuno del pubblico ha pensato di ridere di loro ha fatto male perché subito lo show inizia con una devastante “It’s On” che lascia quasi tutti a bocca aperta, e di fila propongono “Love Song”, “Falling Away From Me” e “Here to Stay”. I membri aggiuntivi riescono con le percussioni e i sampler a riempire il sound dei Korn di una carica incredibile. Il concerto vola fantastico fino a quando Davis non si gira verso due energumeni dietro le sue spalle e comincia a inalare ossigeno e prendere varie pastiglie, la sua voce è smagliante ma la sua salute deve esserlo un po’ meno (si scoprirà infatti qualche giorno dopo che Davis aveva contratto una forte infezione al sangue che lo costringerà in ospedale per alcuni giorni). Dopo “Counting On Me” e “Somebody Someone” arriva il colpo di genio, Davis esce dal retro del palco con una cornamusa a tracolla: è il delirio. I Korn cominciano a suonare un lungo medley che contiene tutti i loro cavalli di battaglia, da “Shoots And Ladders” passano a “Need To” per poi suonare “Lies” e “Make Me Bad”. A “Thoughtless” viene concesso un po’ più di tempo ma poi la cavalcata continua con le storiche “A.D.I.D.A.S.” e “Twist”. I Korn sono riusciti ad accontentare tutti ma lo show riserva ancora delle sorprese, la band di Bakersville comincia infatti a suonare “Coming Undone” che grazie agli ‘animali’ presenti sul palco, se è possibile, acquista ancora più grinta. La band vorrebbe far credere a tutti che il concerto si sarebbe chiuso con “Twisted Transistor” e “Freak on a Leash” ma in pochi ci cascano, Davis, infatti, comincia un breve discorso che termina con “…allora chiuderemo come tutte è iniziato”: “Blind”. Il colpo ad effetto riesce alla perfezione, il pubblico è in delirio e appena se ne sentono le prime note tutti cominciano a saltare alzando uno dei più grossi polveroni che abbia mai visto. I Korn hanno suonato molti pezzi vecchi con un incastro di suoni degno di loro, sono riusciti a fare uno spettacolo grandioso che è riuscito sicuramente ad impressionare anche chi non era al Gods per vedere loro. Complimenti.
(Tommaso Bonetti)

Guns ‘N’ Roses
Tanta era la attesa, 13 anni, poche erano invece le aspettative specialmente dopo le notizie di un pessimo show in Spagna poche settimane prima e dopo aver visionato un video live su internet che effettivamente mostrava un Axl appesantito dall’età e dagli abusi, svociato e svogliato.
Tanta era comunque l’emozione sotto quel palco mentre le migliaia di fans (circa 20.000) accorsi per l’evento chiamavano a gran voce i Guns ’N’ Roses (o quel che ne rimane) che fanno la loro comparsa con quasi un’ora di ritardo (poco se rapportato alle oltre 2 ore di attesa degli spagnoli dell’l’Auditorio Parque Juan Carlos I).
Da quel momento è il delirio, soprattutto per i 3000 fortunati che si sono accaparrati il braccialetto per l’area riservata appena a ridosso del palco.
Si apre con una stupenda “Welcome to the Jungle” seguita da un’altrettanto buona “It’s So Easy”. Ovviamente possiamo scordarci l’Axl della fine degli anni ’80 il quale effettivamente ha messo su qualche chilo, o forse era troppo magro prima…, anche la voce non è proprio la stessa ma non è nemmeno quell’indecenza che ci volevano far credere, solamente le note più alte non sono più quelle di un tempo. Il carisma poi è rimasto quello di allora ed anche se l’Idroscalo non è San Siro, l’atmosfera (a detta di chi c’era 13 anni fa) era ancora quella.
Nel corso della serata per il biondo singer ci saranno più pause, ottime per approfittare per cambiarsi abito di scena e riposare la voce (non è più un ventenne nemmeno lui e probabilmente deve ancora ingranare al 100%). Nel frattempo ci pensano i suoi nuovi nuovi compagni (Ron Thal, Richard Fortus e Robin Finck alle chitarre, Tommy Stinson al basso e alla batteria l’ex Primus Brain Mantia), di avventura ad intrattenerci con soli di chitarra e batteria, che frammentano lo show ma non annoiano certamente i presenti. Spediamo una riga anche per questi ottimi musicisti che a livello tecnico non hanno nulla da invidiare ai loro predecessori, se non la fama e l’affetto con cui il pubblico li incita ancora adesso, chi non avrebbe apprezzato un ritorno almeno di Slash?
Bando ai ricordi e ai se, il concerto si snoda tra pezzi storici, qualche anteprima del nuovo e non ancora uscito “Chinese Democracy” intermezzi musicali ed un’ospite d’eccezione sulle note di ”My Michelle” fa la sua comparsa sul palco l’ex Skid Raw Sebstian Bach, qui la temperatura sale e tra le numerosissime donzelle presenti c’è probabilmente chi rischia lo svenimento.
Il singer farà poi il suo ritorno sul finire di “Nightrain”. Mentre la splendida “Paradise City”, tra coriandoli colorati e fuochi d’artifico ci manda tutti a letto felici dopo aver assistito a quasi 2 ore e mezza di spettacolo con la “S” maiuscola. I Guns sono tornati? Chiedetelo a chi c’era…
(Paolo Manzi)

Foto:

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Venerdì 2
Sabato 3
Domenica 4

Report a cura di Tommaso Bonetti e Paolo Manzi

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