Infine la giornata conclusiva:
Kayser
Tocca ai Kayser aprire l’ultima giornata di Evolution Festival, pochi sono quelli che conoscono questo progetto parallelo di Spice (ex Spiritual Beggars) e Fredrik Finnander (The Defaced), e ancora meno sono quelli che sono riusciti già a riprendersi dalla baldoria del sabato sera. Sono stati in molti quindi a perdersi un gran bello spettacolo.
La band apre con “lost case” un ottimo pezzo trash che comincia ad attirare i fan, lo show continua poi con “Noble is your blood” e una nuova canzone, “Lost in the mud”, che sarà inserita sul loro prossimo EP. I Kayser hanno a disposizione tempo solo per altre tre canzoni e scelgono quindi “Good citizen”, “Rafflesia” e chiudono con l’opener del loro disco: “1919”.
Con questo gruppo è stato veramente un ottimo inizio di giornata.
Report di Tommaso Bonetti
Secret Sphere
Il secondo gruppo della giornata è quello dei nostrani Secret Sphere, power band che nella mezz’ora a sua disposizione fa comunque il suo dovere, mettendo impegno e passione nel suonare davanti a un piccolo gruppo di fan e curiosi, a cui offre alcuni tra i suoi cavalli di battaglia, prediligendo brani tratti dal buon “Heart & Anger”, uscito lo scorso anno.
Anche se il loro power sinfonico non sembra entusiasmare particolarmente i presenti, il cantante riesce comunque a catturare la loro attenzione nel poco tempo concessogli, e mentre la mattinata volge al termine il sestetto può comunque ritenersi soddisfatto di una prestazione nel complesso positiva, dimostrando di meritare forse anche di più dal pubblico dell’Evolution.
Sadist
Parliamo ora degli italianissimi Sadist, a riposo ormai da tre anni, ma con un livello agonistico quasi impareggiabile (se non dagli Atheist, o forse dai Nile), la band può infatti vantare una grande considerazione, anche se a livello soprattutto nazionale.
La compattezza del gruppo appare totale, e la botta dei loro pezzi lascia quasi perplessi, visto il grado di difficoltà delle composizioni, forse gli inserti di tastiera appaiono un po’ troppo marcati ed il frontman alle volte un po’ sgolato, ma nel complesso si può proprio parlare di una piacevolissima ed inaspettata riscoperta.
Report di Lorenzo Canella
Ensiferum
Il pubblico dell’Evolution deve solo ringraziare i Sadist, perché senza di loro gli Ensiferum non avrebbero potuto suonare. I finlandesi si erano, infatti, trovati bloccati nel traffico di Salò e se i mitici Sadist non avessero accettato di anticipare, tagliare e stravolgere il loro show non ci sarebbe stata alcuna possibilità per gli Ensiferum di fare il loro show.
I cinque finnici salgono sul palco con tutta la grinta che li contraddistingue, il loro power folk metal infiamma il pubblico facendolo saltare e cantare a più non posso. Sanno di avere a disposizione solo poco più di mezz’ora e concentrano quindi tutti i loro cavalli di battaglia, molti sono i pezzi di “Ensiferum” il loro album di debutto ma non mancano anche quelli di “Iron”.
Personalmente credo che questo sia stato uno dei concerti più convincenti del festival, anche per il pochissimo tempo che hanno avuto per prepararsi. Peccato solo per quell’innaffiatore folle della security che mi ha completamente lavato da capo a piedi… anche se devo ammettere che ottenere un po’ di fresco durante le prime ore del pomeriggio sembrava una missione impossibile!
Report di Tommaso Bonetti
Finntroll
Dopo gli Ensiferum l’attesa è tutta per i loro più famosi compatrioti Finntroll. Manca come al solito Sorvali, ma la curiosità è rivolta in particolare al nuovo cantante Mathias Lillmåns, che ha recentemente preso il posto di Tapio Wilska, licenziato dalla band.
Già l’impatto visivo è completamente diverso, dal “robusto” Tapio a cui eravamo ormai abituati ecco questo singer magrolino che rispetto alla mole degli altri membri del gruppo fa quantomeno sorridere. Ma cosa più importante, forse anche per l’inesperienza, è l’impressione che purtroppo il nuovo cantante non sia al livello del precedente, mancando di espressività e di coinvolgimento, mentre la voce è più impersonale e aggressiva, meglio adatta ad un gruppo puramente black, e questo si traduce in un impatto leggermente più potente e violento del solito, ma meno coinvolgente.
Ciò nonostante, e pur con qualche piccola sbavatura, tra i gruppi dello stesso genere visti nel weekend lo show è senza dubbio uno dei più apprezzati dal pubblico, che si mostra comunque divertito accennando qua e là al pogo, mentre viene continuamente innaffiato d’acqua per sopportare il caldo.
La scaletta si concentra soprattutto sull’ultimo “Nattfodd” e “Jaktens Tid”, e brani come “Trollhammaren”, “Nattfodd”, “Ursvamp”, “Laget Vid Blodsälv” e la stessa “Jaktens Tid”, infiammano gran parte dei presenti, che rispondono molto bene all’esibizione dei finnici. Il loro concerto pur senza tagli termina con un certo anticipo per via dell’inconveniente accaduto agli Ensiferum, e da qui in poi infatti tutti gli orari saranno leggermente anticipati rispetto al previsto.
The Gathering
Ecco finalmente giungere il turno dei “The Gathering”, che sinceramente non avevo mai seguito, pur essendo sempre curioso di vederli in concerto; il gruppo sale sul palco per quello che è stato veramente un concerto credo degno di tutte le aspettative dei fan presenti, seppur relativamente breve.
Il suono è regolato in maniera molto buona, cosicché si può godere pienamente del suono di tutti gli strumenti e della splendida voce di Anneke.
La prestazione della Band è stata a mio parere ottima e la risposta del pubblico molto positiva.
Anneke si destreggia col sorriso sul volto in ogni canzone, con un’ interpretazione davvero calda, appassionante e senza errori pur continuando a muoversi e saltare per il palco, al basso Marjolein è sempre sorridente e fa un buon lavoro sia con il suo strumento sia come backing vocals, alla chitarra il biondo Renè crea riff e melodie in modo abbastanza preciso e pulito, così come alle tastiere Frank, che intesse melodie su melodie, con il batterista Hans a dettare il ritmo, con una buona prestazione sia sulle parti più lente che su quelle più tirate.
Tutta la performance mi ha colpito, molto belli e coinvolgenti tutti i pezzi di cui cito il classico “Eleanor”, tratto dall’album “Mandylion” e sempre dallo stesso “In Motion #1”, la fantastica “Nighttime Birds” dall’ omonimo album, “Alone”, dall’ultima fatica discografica “Home” del 2006, bellissima “Liberty Bell” da “How To Measure a Planet“e “Saturnine” da “If Then Else”.
Concludendo, per tutto il concerto ho avuto la pelle d’oca, tante le emozioni che mi son state trasmesse dalla bellissima voce di Anneke e dalla musica, e anche se la band non suona esattamente Metal, è molto amata dai metallari; se dovessi dare un voto alla performance darei sicuramente un bell’ 8!
Questo gruppo ha trovato sicuramente con me un nuovo fan, e consiglio caldamente di ascoltarli e di vederli in concerto se volete essere partecipi di una bella esperienza.
Report di Marco “Mac” Brambilla
Armored Saint
Parliamo ora degli italianissimi Sadist, a riposo ormai da tre anni, ma con un livello agonistico quasi impareggiabile (se non dagli Atheist, o forse dai Nile), la band può infatti vantare una grande considerazione, anche se a livello soprattutto nazionale.
La compattezza del gruppo appare totale, e la botta dei loro pezzi lascia quasi perplessi, visto il grado di difficoltà delle composizioni, forse gli inserti di tastiera appaiono un po’ troppo marcati ed il frontman alle volte un po’ sgolato, ma nel complesso si può proprio parlare di una piacevolissima ed inaspettata riscoperta.
Report di Lorenzo Canella
Atheist
Gli Atheist mancano ormai all’appello dalle scene ormai da diverso tempo ed è un piacere ed un onore per molti poterli rivedere, per alcuni sono sfumati di tratti quasi leggendari, infatti i loro tre dischi all’attivo hanno sbalordito ormai la scorsa generazione con una tecnica strabiliante accomunata ad una comunque buona presenza di gusto.
Qui il livello tecnico raggiunge vette elevatissime, probabilmente un po’ troppo per la durata di circa un ora del concerto, visti i continui cambi di tempi e grooves il pubblico ne è uscito un po’ ubriacato, ma la performance è stata indubbiamente spettacolare… anche lo sprofondamento del bassista causa cedimento di un pannello del palco (da lui stesso provocato).
Report di Lorenzo Canella
Amon Amarth
Dopo la convincente prova degli Atheist, tocca ai vichinghi per eccellenza, capitanati dal barbuto Johan Hegg, assalire con la loro potenza il pubblico sottostante. L’inizio promette bene, con la spettacolare “Pursuit Of Vikings” a fare da apripista scatenando sin da subito la folla presente, tra cui si elevano corni e persino un martello di plastica.
La band è carica e in buona condizione, e mentre i growl del cantante risuonano per toscolano, i chitarristi ed il bassista si lanciano nel loro solito headbanging. Dalla loro discografia ecco brani come “Releasing Surtur’s Fire”, “For The Stabwound In Our Backs” e “The Valkyries Ride”, ma nell’ora a disposizione Johan e compagni hanno ancora molto da dare, il pubblico lo sa e incita in continuazione il gruppo svedese, seguendo ad ogni occasione il cantante nei cori e dimostrando grande coinvolgimento.
Prosegue così l’ottima esibizione della band, passando tra canzoni quali “Fate Of Norns”, “Thousand Years Of Oppression” e ancora “An Ancient Sign Of Coming Storm”, il tutto suonato sempre con la stessa violenza che caratterizza il concerto fin dai primi minuti, così da dare ben pochi attimi di respiro agli spettatori.
La prestazione degli Amon Amarth, che di diritto può ritenersi una delle migliori del festival bresciano, sta per volgere però al termine, e per chiudere arrivano “Victorious March” e una grandissima “Death In Fire”, sulle quali ancora una volta il pubblico si esalta, ripagando appieno gli sforzi dei cinque, prima di lasciare il posto agli applausi in attesa dei portoghesi Moonspell.
Moonspell
Con sole al tramonto salgono sul palco i portoghesi Moonspell, che, personalmente, avevo molta curiosità di vedere dal vivo. Il frontman Fernando Ribeiro si presenta con un lungo mantello rosso, che ben s’intona con la scenografia che richiama la copertina del recente Memorial, e gli occhi che paiono tumefatti.
Il caldo lo sente anche chi è sul palco e dopo un paio di canzoni e i complimenti di rito per essere Campioni del Mondo, il mantello sparisce per lasciare il posto a una più pacata t-shirt a rete. I suoni non agevolano certo la resa dei dark lusitani, le chitarre appaiono distaccate e la tastiere, quando vengono utilizzare stentano a sentirsi ma nonostante ciò le varie “Alma Mater”, “Finisterra” “Vampiria” e “Opium” per citarne solo alcune, sottolineano la sensuale e straordinaria voce del singer, anche se non appare in serata di grazia.
Un vero peccato, dai Moonspell ci si poteva aspettare qualcosina di più.
Report di Dimitri Borellini
Death Angel
Evolution fest come tribuna di grandi ritorni, per ultimo i Death Angel, che anche se da un paio d’anni sono tornati a far parlare di se, bisogna anche dire che per quattordici se ne sono stati muti muti.
Ebbi già l’occasione di vederli a Wacken nel 2004 e sono rimasto colpito dall’energia di questo quintetto indoamericano, adesso nel 2006 evidentemente devono proprio averci preso gusto, non so se assimilarli di più ad un gruppo di diciassettenni pieni di energia (ma con un esperienza che traspare chiaramente) oppure a cinque cavallette che per qualche strano caso hanno imparato a suonare benissimo.
L’esecuzione dei brani è stata ottima e la presenza di palco eccezionale (ringraziamento speciale al metro di rasta del cantante Osgueda). Se il piano della prestazione live è effettivamente ineccepibile, per carisma e precisione, forse quello della composizione in alcuni casi pecca un po’, infatti, dopo più di un ora di concerto il pubblico ha iniziato ad calare l’attenzione, perché lo speed va bene, ma sarebbe meglio proporre anche alternative un po’ diverse. Gruppo da vedere live.
Report di Lorenzo Canella
Saxon
E giunto quindi il momento finale di questo Evolution 2006, che si riassume in una parola sola: Saxon.
Dopo anni e anni (e anni) di concerti alle spalle, sempre con la stessa intensità, sempre impostati nello stesso modo (tanto che spesso si riesce a prevedere almeno gran parte dei brani in scaletta), i Saxon difficilmente deludono i loro fan, e dal vivo ogni volta riescono a trasmettere sensazioni che poche band riescono a eguagliare, ed è per questo che sono ancora tra i grandi, seguiti ormai da diverse generazioni di metalheads.
Dopo una breve attesa ecco risuonare “The Return”, ormai usuale apertura che permette al gruppo di prendere posizione sul palco, seguita naturalmente da “Lionheart”. Biff questa sera si dimostrerà particolarmente attivo e allegro rispetto al solito, lanciandosi spesso in discussioni col pubblico, tra annunci, battute, promesse (come quella di suonare ancora di più in Italia il prossimo anno, in cui esce il nuovo disco), da vero mainman e navigato uomo da palcoscenico.
La serata verte in particolare sui classici più famosi della band, mi riferisco ai primi anni ’80, senza dimenticare altri grandi brani e qualche canzone più recente. Proseguendo col concerto vengono riproposti quindi “Motorcycle Man”, e “Heavy Metal Thunder”, ma anche “Solid Ball Of Rock” e “Dogs Of War”, passando così alla decade successiva.
Al solito Biff si è già sbarazzato della scaletta, ed ecco che mentre il pubblico segue con interesse ed entusiasmo, sulle note di “The Eagle Has Landed” cala il telo dietro alla batteria di Nigel Glockler per fare posto all’imponente aquila di metallo, loro simbolo ormai storico, che troneggerà sopra la band per il resto dello show. Se qualcuno se l’aspettava, per altri è invece una vera e propria sorpresa.
Si continua a pescare dal passato, e arrivano “Strong Arm Of The Law” dall’omonimo album, seguita da “To The Hell And Back Again”. Il singer inglese è in grande spolvero, e saltella qua è la per il palco incoraggiando la folla, così come a volte fanno anche Carter e Scarratt.
Passata la prima metà del concerto c’è spazio per canzoni del passato più recente, “Witchfinder General” e “Dragon’s Lair”, tra le quali spunta la più datata “20,000 Feet”, brano non sempre proposto dal vivo. Ma come è ovvio mancano ancora all’appello i pezzi storici più famosi, ed eccone un assaggio con l’affascinante “Crusader”, a cui segue una meritata pausa.
Il rientro di Scarratt e il suo assolo di chitarra introduce come sempre “Wheels Of Steel”, si dà così avvio alla parte più intensa di uno show comunque emozionante come sempre, e le canzoni con cui si chiude ufficialmente il secondo Evolution festival sono tra i capolavori che hanno segnato la storia della nwobhm, in sequenza “Princess Of The Night”, “747 (Strangers In The Night)” e per finire come al solito in bellezza, “Denim & Leather”.
Grandi come sempre, e consapevoli di aver fatto un gran bello show, i cinque se ve tornano tra gli applausi dietro le quinte, sancendo così la conclusione del festival.
Lo spettacolo dei Saxon rappresenta il culmine di tre giorni in cui si sono alternate ottime band, alcune non calcavano il suolo italico da parecchio tempo, e altre non avevano mai avuto il piacere di farlo. Ma l’accoglienza del pubblico, anche se non molto numeroso, dell’Evolution, sicuramente non farà certo pentire queste band della loro scelta, invogliandole magari a farci visita più spesso, questo però a patto che la gente inizi a muoversi non solo per il grande nome (come ormai ci insegna la mentalità del metallaro medio italiano) ma che inizi a guardarsi intorno ed accorgersi che ci sono molte band magari meno famose ma comunque di assoluto valore, che vale indubbiamente la pena di vedere dal vivo.
Parole di elogio vanno spese inoltre per la giovane organizzazione dell’evento, appena alla seconda edizione, ma che già dimostra di saper gestire senza grossi problemi la situazione, riuscendo a detta di molti anche a migliorare quei piccoli difetti dell’anno precedente.
L’apertura delle tribune coperte, la disponibilità di una canna d’acqua contro il caldo, i prezzi onesti del mangiare e delle bevande, il gran numero di banchi con articoli di ogni tipo, oltre al ottimo sistema dei braccialetti, sono solo dei piccoli esempi di quanto comunque la Loud Session abbia anche tenuto in considerazione le esigenze del pubblico, cosa che non sempre è data per scontata.
Per concludere anche la location si è rivelata molto azzeccata, in un perfetto clima da vacanza a pochi metri dal lago, è l’ideale per chi vuole vedere i suoi gruppi preferiti ed allo stesso tempo avere la possibilità di rilassarsi di tanto in tanto in spiaggia o farsi un bagno.
Purtroppo i numeri dell’affluenza di pubblico non hanno dato molta ragione alla scelta di estendere il festival a tre giorni, auguriamo quindi miglior fortuna per il futuro.
Le foto saranno disponibili al più presto causa rifacimento della fotogallery
Report a cura di Marco Manzi (dove non specificato)
Siamo alla ricerca di un nuovo addetto per la sezione DEMO, gli interessati possono contattare lo staff di Holy Metal, nel frattempo la sezione demo rimane temporaneamente chiusa.