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Metal Camp (Venerdì) - 7/21/2006 - *** - Tolmin (Slo)

Il Metal Camp 2006 si tiene come tutti gli anni nella piccola cittadina di Tolmin, appena dopo il confine italiano in territorio sloveno. Rispetto all'edizione del 2004 è molto cambiato, quello che era il palco principale (posizionato alla meno peggio nell'unico spazio libero fra gli alberi) è diventato il secondo palco dove per tre giorni si sono esibite band minori o locali mentre le band più famose hanno goduto di un palco assolutamente onorevole. L'area campeggio invece si è a dir poco quadruplicata e tende si annidano in ogni spazio (o buca) libera in mezzo alla foresta. Nonostante la partenza al pomeriggio presto, non si arriverà a Tolmin prima d sera e ci toccherà piantare le tende nel buio più completo rischiando di martellarci le dita a ogni picchetto e in ogni caso graffiandoci le gambe contro ogni maledetto ramo invisibile. Purtroppo ci accorgiamo subito che lo spazio all’interno della vegetazione è già quasi terminato e riusciamo a montare solo due tende all’ombra delle piante, la terza finirà inevitabilmente nella spianata a cuocersi nel sole del mattino e bruciare in quello pomeridiano... Per il prossimo anno cercheremo di arrivare decisamente prima...

Venerdì 21 luglio

Chi non è mai stato a un Metal Camp non può sapere che il festival si tiene nel punto in cui il piccolo Tolmino si getta nel più grande Isonzo, questi due fiumi, oltre che essere balenabili (anche se poche volte ho visto un divieto di balneazione fermare un orda di metallari), sono anche veramente freddi. La mattina la si trascorre quindi qui, in riva al fiume con le acque gelide che aiutano a dimenticare di 35-38 gradi di temperatura esterna e, dato che al Metal Camp i gruppi cominciano con tranquillità il pomeriggio, la prima parte della giornata è quindi dedicata al riposo e al relax.

Gli Arch Enemy avevano dato forfait solo con un giorno di anticipo e l’unica cosa che gli organizzatori del Metal Camp sono riusciti a fare è stata quella di spostare avanti di un’ora tutte le esibizioni in modo da coprire il loro vuoto.
Gli Scaffold (voto 6,0) cominciano perciò a suonare alle 17,30 e come succede a tutte le band che aprono un grande festival, non riescono ad ottenere un grande seguito, sanno comunque a tenere egregiamente il palco facendo sentire la loro musica anche in tutto il campeggio. Terminata la prima esibizione è già tempo per Decapitaded (voto 6,5).
Questo gruppo death metal polacco, ha uno stile che li pone come una delle band più tecniche ed estreme del genere. Fa quasi impressione, però, vedere sul palco degli artisti la cui età varia solo tra i 18 anni (di Vitek alla batteria) ed i 22 anni (di Vogg alla chitarra). Il loro show è incentrato sulla promozione del loro nuovo disco: Organic Hallucinosis, che ha visto la luce proprio quest’anno. Il pubblico ora è più gremito ma molti sono venuti solo per ascoltare il grande ex-cantante dei Savatage, Jon Oliva, che farà il suo show subito dopo. I Decapitaded li troveremo di sicuro a molti altri festival e certamente saranno più in alto nel runnig order, hanno solo bisogno di un po’ più di esperienza.
Esattamente alle 19,20 sale sul palco l’ex Savatage Jon Oliva (voto 7,5) e l’ultima cosa che si possa dire di lui è che sia in forma: grasso e sformato come non lo è mai stato, indossa una maglietta che inneggia al consumo di cannabis (che sia stata la fame chimica ad averlo fatto ingrassare così?). Lo shock per la sua forma fisica dura però poco, il concerto inizia subito alla grande con “Warrior” e “Sirens”, due pezzi del suo vecchio gruppo che mandano la folla in visibilio. I musicisti che lo accompagnano sul palco sono alla sua altezza, anzi, Matt Laporte, il chitarrista, ha persino quasi la sua stazza. Lo show vede un’alternanza tra pezzi dei Savatage e dei Jon oliva’s Pain, vengono, infatti, proposte di fila sia “The Dark” che la bellissima “Jesus saves”, anche se, il pezzo più toccante e meglio riuscito è sicuramente è stato “Belive”, come sempre dedicato allo scomparso Criss Oliva. Il loro concerto si chiude tra gli applausi dopo “Hall of the mountain king” cantata a squarcia gola da un pubblico in delirio.
È ormai giunta l’ora di cena quando comincia a suonare una delle band più discusse della scena progressive/thrash metal: i Nevermore (voto 7). I cinque statunitensi salgono sul palco veramente decisi dando sfogo ai fan con il loro sound pieno e corposo. Chitarre distorte, basso molto profondo e batteria decisa sono da sempre le principali caratteristiche di questa band . Le linee vocali sono caratterizzate da uno spiccato gusto per la melodia e per i cori. Negli assoli di chitarra, Jeff Loomis, tiene un suono pulito che va a sostituirsi in frequenza e timbro alla voce di Dane Warrel. I Nevermore hanno a disposizione un’ora per fare il loro show, così concentrano tutti i loro pezzi migliori, “Final Product” e “The River Dragon Has Come” sono suonate all’inizio tra l’euforia del pubblico. Tutti brani proposti dalla band sono sorretti da numerosi cambi di tempo, alternati a numerosi interventi di doppio pedale, non mancano, però, pezzi molto più melodici come l’ottima “Dead Heart In A Dead World” che viene suonata dopo una ben più tirata “Engines Of Hate”. Il concerto scorre veloce anche se con qualche stecca di Dane che, più di una volta, manca la nota esatta facendo storcere il naso a molti critici. In ogni caso anche le stecche e le sbavature fanno da sempre parte del sound dei Nevermore che riescono a chiudere tra gli applausi il primo vero grande show di quest’edizione del Metal Camp 2006.
Non tutte le magliette degli Arch Enemy erano venute a conoscenza del forfait dei loro beniamini e sui loro volti è, infatti, scottante il disappunto nel vedere salire sul palco i conterranei Hypocrisy (voto 8). Non tutti sanno però dei guai che la band ha passato all’aeroporto, il loro batterista si era trovato bloccato là ed è riuscito ad arrivare in tempo solo grazie al provvidenziale aiuto degli Amon Amarth, ma in ogni caso, i loro strumenti hanno accumulato un ritardo tale che i quattro svedesi hanno dovuto chiedere in prestito la strumentazione per poter suonare. Nonostante tutti questi inconvenienti, però, la band riesce a fare un ottimo show, il loro death metal atmosferico acquista ancora più grinta grazie ai giochi di fumo e luci che accompagnano la loro esibizione. Tante sono le canzoni che la band riesce a proporre, tra le più riuscite non possiamo dimenticare “Roswell 47” e “Killing Art” che ha dato ai fans una carica incredibile. Peter Tägtgren è in grande forma e anche con una chitarra presa a nolo riesce a dare spettacolo, facendo dimenticare in fretta tutti i gruppi che hanno suonato prima di loro. Il concerto ha il suo apice durante due canzoni: “Fire In The Sky” e “Impotent God” e si chiude egregiamente l’ormai classica “The Final Charter”. Gli Hypocrisy sono riusciti meglio che nel 2004 a ricoprire il ruolo di headliner, speriamo che tornino ancora!
Non avrei mai pensato che i viking metallers svedesi Amon Amarth (voto 7,5) avrebbero ricevuto una simile accoglienza (ma soprettutto chi avrebbe mai detto di poterli vedere investe di headliner) , invece solo pochi lasciano l’area antistante il palco dopo lo show dei deathster Hypocrisy. Un pubblico tutto per loro quindi e Johan Hegg e soci se rendono subito guardando il bandierone svedese formato gigante recante il loro logo troneggiare tra la folla.
Purtroppo ad uno spettacolo genuino e potente è venuta meno la precisione di esecuzione, in particolare delle due chitarre che hanno preso le cosidette “stecche” in più occasioni. Tuttavia i cavalli di battaglia, vecchi e nuovi hanno dato i loro risultati da “Death in Fire” a “Pursuit of Vikins”. Viene anche trovato il tempo per presentare un brano inedito “Roots to My Memories” presente sul nuovo album in uscita a settembre, il pezzo è parso da subito interessante e coinvolgente e si è meritato l’ovazione dei presenti alla pari di una storica “Victorius March”. Resta solo il rammarico, ancora una volta, di non aver ascoltato la mitica “Amon Amarth”.
A conclusione della prima giornata del Metal Camp 2006 sono chiamati ad esibirsi gli svedesi Deathstars (voto 7). Con il loro metal di stampo industrial e il loro abbigliamento a metà tra un gruppo glam (ricordiamo il foulard leopardato sulla chitarra di Nödtveidt) e Marilyn Manson (Andreas ‘Whiplasher’ Bergh era bianco in faccia tanto era il fondotinta) riescono a tenere sotto palco gran parte del pubblico che are accorso per gli Amon Amath. Dopo poche canzoni però il freddo e l’umidità pungente costringono molti metalheads, che erano nell’area concerti fino dalle più torride ore del pomeriggio, a tornare alle loro tende per coprirsi. La band di Gothenburg, in tour per promuovere il loro secondo disco “Termination Bliss”, si vede così costretta a chiudere lo show davanti ad uno sparuto gruppo di fan all’incirca verso le tre del mattino.

E fu sera e fu mattina secondo giorno

Report a cura di Tommaso Bonetti

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