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Opeth + Amplifier - 12/18/2006 - New Age - Roncade (Tv)

Probabilmente la maggior parte di chi leggerà questo report lo accantonerà, dopo aver appreso da questa premessa che chi scrive conosce gli Opeth davvero limitatamente, ed ha accettato l’incarico di descrivere l’evento soprattutto per farsi un’idea più precisa del noto gruppo svedese.
E così, eccoci a sfidare il freddo assieme a pochi affezionati in attesa dell’apertura del locale, a fare una breve coda, ed a prepararci per l’ingresso sul palco degli Amplifier. Sono davvero in pochi ad assistere all’esibizione della “post-classic rock band “inglese, che lascia il pubblico attonito per l’inaspettata lunghezza dei brani e la forte attitudine al melodico/sinfonico. Nonostante l’esecuzione certo tecnicamente perfetta, è difficile riuscire ad apprezzare una musica così ricca di vuoti ritmici, e specialmente a capire il significato insito in ogni canzone, se non dopo svariati ascolti, a discapito di un efficace impatto dal vivo. Aggiungendo poi che il locale appariva ancora semivuoto, si puo’ concludere che i britannici sono stati, purtroppo, sfortunati, nonostante abbiano potuto contare sullo stabile supporto di alcuni fans venuti apposta per loro.
Tra la fine dell’esecuzione degli Amplifier e i tempi morti dovuti all’allestimento del palco, ho potuto constatare un forte aumento dei presenti, a conferma del fatto che le vere star della serata erano gli Opeth. In men che non si dica, tutto lo spazio sotto al palco si è riempito, ed un grido di gioia ha accolto la comparsa del quintetto svedese, che ha aperto lo show sulle note di “Ghost Of Perdition”. Subito dopo l’esecuzione, e in tutti gli spazi tra un brano e l’altro, il cantante e chitarrista Mikael Åkerfeldt ha iniziato a colloquiare amichevolmente con il pubblico, raccontando con fare disinvolto cosa volesse dire intraprendere un tour di diciannove mesi, convivere per così tanto tempo con i propri compagni e non vedere le famiglie; l’ultima tappa del tour era proprio Roncade, come è stato annunciato non senza una certa stanchezza, un ultimo sforzo prima del meritato riposo. Il pubblico, però, non ha gradito eccessivamente tanta parlantina, e, dopo i primi discorsi, ha iniziato ad urlare al povero Åkerfeldt “Taia!” (taglia) e poi “Sona!” (suona).
L’intrepido vocalist, però, non ha desistito, e, dopo un paio di brani, si è dichiarato insoddisfatto della partecipazione del pubblico, quasi fosse ad un concerto di Eros Ramazzotti e non ad un “fucking metal show”, pretendendo così che il pubblico facesse headbanging senza musica, pena la fine del concerto; nonostante l’iniziale perplessità, il pubblico si è scatenato, ed il premio è stato nientemeno che la splendida“Blackwater Park”, una delle poche titletrack nella discografia del gruppo. Ancora un vuoto, i nostri lasciano il palco e riappaiono solo in seguito ad un lungo e prolungato richiamo da parte del pubblico probabilmente ancora insoddisfatto (più chiacchiere che canzoni), proponendo come degna fine un’altra storica titletrack, “Deliverance”, accolta con grandissimo entusiasmo e degna chiusura.
Parlando da profana, quale ho confessato di essere in apertura di questo report, posso concludere che si è trattato di un ottimo concerto, ed ho apprezzato molto la musica degli Opeth, che alterna momenti estremamente melodici a parti più aggressive e incalzanti; unica pecca, forse, l’eccessiva lunghezza delle canzoni, e l’impressione di non aver sentito che un assaggio (non più di una decina di canzoni, o forse meno). In ogni caso, un ottimo concerto pre- natalizio, ed una degna chiusura, di tour, per la band svedese, e di stagione, per il New Age, che quest’anno ha regalato al pubblico veneto una grandissima varietà di concerti.

Report a cura di Tiziana Ferro

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