La nostra The Black Crusade, inizia, putroppo soltanto con lo show dei Dragonforce. Sicuramente la band inglese si colloca lontano dalle mie preferenze, ma essendo il più obiettivo possibile, bisogna riconosce la capacità della band di interagice con il pubblico, divertendosi e divertendo. Lo show si apre con "Fury of the Storm", seguita a ruota da "Operation Ground and Pound" e "Revolution Deathsquad". Da subito si può apprezzare l'invidiabile voce del singer ZP Theart, scatenato come non mai, cimentandosi anche nel lancio della carta igienica che lo ha tenuto impegnato per un paio di canzoni a metà dello show. Un assolo dopo l'altro, doppia cassa incessante, questo sono i Dragonforce. E dopo un po' la noia mi ha catturato. Uno show divertente, non lo nego, ma quando ho sentito la fine di "Valley of the Damned" e i seguenti ringraziamenti di rito mi sono risollevato.
Amore e odio. Questo può riassumere la fama degli americani Trivium. Per molti una band clone, per altri l'incarnazione del thrash metal del nuovo millennio. Già li avevo visti di supporto agli Iron Maiden e non mi avevano entusiasmato e questa sera è stato lo stesso. Bella scenografia, tecnica inattaccabile, buona tenuta di palco: ma le canzoni sono prive di tiro, non catturano. Una band che sembra uscita dagli anni '80, con il singer Matt Heafy che imita sia nelle movenze che nel timbro vocale il mitico James Hatfield dei Metallica, senza dimenticare l'abbigliamento in pieno stile thrasher anni '80. L'ultimo studio album, The Crusade, non aveva fatto altro che altro precedere questa impressione, che in sede live è ancor più evidente. Insomma, una band che suona bene, ma suona cose "scontate" e senza far scattare quella scintilla che li isserebbe su un altro pianeta. Per ora questi quattro americani devono rimanere coi piedi ben piantati per terra e magari prendere spunto dalla band headliner del "The Black Crusade".
Si perchè i Machine Head sono tornati ad essere delle macchine inarrestabili. L'ingresso di Robb Flynn e soci è sulle note dell'intro di "Clenching the Fists of Dissent", devastante pezzo estratto dal capolavoro The Blackening. Il carisma si vede, la potenza di una band fresca inebria i fans che si distruggono in un mosh incessante, incitati continuamente, neanche se ce ne fosse bisogno, dal frontman americano. Dopo l'opener il set prosegue con "Imperium" e "Aesthetics of Hate", prima della quale Flynn e Demmel mostrano uno striscione commemorativo in ricordo del compianto, ma mai dimenticato Dimebag Darrel. E qui l'emozione per molti è alle stelle.
"Old", già dal titolo ci riporta al passato, ma poi si torna al presente con gli splendidi nove minuti di "Halo" che racchiudono l'essenza dei Machine Head. Dave McClain dà spettacolo dietro alla batteria, Adam Duce dona concretezza con il suo basso, Phil Demmel scarica riff a raffica e Robb Flynn è il frontman carismatico che tutti vorrebbero nella propria band. Poi ancora "Take my scars" prima di "Descend the Shades of Night" durante la quale succede l'inaspettato.
Terminata la parte acustica, il chitarrista Phil Demmel accusa un malore crollando sul palco. Attimi concitati precedono il ritorno on stage di Flynn, Duce e McClain che annunciano con dispiacere la fine dello show, ringraziando il pubblico italiano per il calore e la compresione. Fortunatamente Demmel si riprenderà di li a poco senza ulteriori complicazioni.
Lo show della band americana è stato comuque il migliore della serata, anche perchè all'appello nel set restava soltanto Davidian. Speriamo in un loro celere ritorno in Italia augurandogli una miglior fortuna.
Setlist Machine Head:
Clenching the fist of dissent
Imperium
Aestathic of hate
Old
Halo
Take my scars
Descend the shade of night - interrotta
Report a cura di Dimitri Borellini
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