Prima edizione del Rockin’ Field Festival, che conclude la serie dei principali festival estivi dell’estate 2008. Un festival che ha regalato al pubblico milanese una buona dose di heavy metal portando tra l’altro band che non si vedono spesso dalle nostre parti, in primis gli headliner, il progetto Avantasia del prolifico Tobias Sammet.
Ecco in sintesi cos’è successo nella calda giornata di sabato 26 Luglio.
In apertura troviamo una band italiana, i The Clairvoyants , formazione balzata in più occasioni ad onor di cronaca per le illustri collaborazioni con Blaze Bayley, Doro, Jorn Lande oltre che come cover band degli Iron Maiden.
La prova di quest’oggi è breve e fugace, penalizzata da suoni non sempre puliti al punto giusto che non hanno certamente reso giustizia ad un ensemble che può annoverare tra le proprie fila ottimi musicisti, vedasi il chitarrista Luca Princiotta.
Ecco il turno dei nostri White Skull spinti sul palco dalla nuova cantante Elisa De Palma che si dimostra singer piena di grinta, con una voce discretamnete versatile sulle varie tonalità interpretate durante le canzoni. L’apparizione per il quintetto capitanato dal chitarrista Tony Fontò è di quelle fugaci con solo una manciata di pezzi a disposizione. Il power grezzo e derivativo proposto dalla band non sembra infiammare gli animi di una platea ancora esigua e poco partecipe, tra le canzoni spiccano “The Roman Empire” e il cavallo di battaglia “Asgard” posto in chiusura di uno spettacolo non certo da ricordare.
Passate le due band nostrane, ci spostiamo appena al di la del confine con gli svizzeri Eluveitie, purtroppo la folk band ha appena perso i due elementi cardine per quanto riguardava le esibizioni live. I fratelli (gemelli) Stefan e Rafi Kirder il primo polistrumentista (cornamuse flauti ecc..) bassista il secondo, potevano indubbiamente vantare il titolo di trascinatori del gruppo. Purtroppo in questa specifica data, una delle prime con il nuovo bassista visto che poche settimane or sono i due gemelli erano ancora presenti allo sloveno Metal Camp, la band pare aver perso quel collagene che teneva unito tutto il gruppo. A questo si aggiunge la mancanza del sostituto alle cornamuse che vengono tristemente campionate. Lo show dal punto visivo ne risente pesantemente, ascoltare “Inis Mona” senza i due elementi chiave non è molto incoraggiante a questo punto vale la pena ascoltarsi Slania (il nuovo album) comodamente sul divano di casa propria. Speriamo in una rapido ritorno a pieno regime della band.
I Biomechanical si presentano come band dalle caratteristiche differenti rispetto alla media della giornata, ed infatti nonostante la buona prestazione nonchè un invidiabile perizia tecnica mostrata dai musicisti nell’esecuzione dei brani, il pubblico non sembra scaldarsi più di tanto per l’esibizione dei cinque ragazzi londinesi. Il thrash metal moderno ricco di influenze progressive e classic metal che la band britannica ci propone dimostra di avere un notevole impatto dal punto di vista sonoro, grazie ad una sezione ritmica precisa come un orologio svizzero e chitarre taglienti al punto giusto, pregevole anche la prova del singer John K. abile nel growl, ma senza sbavature anche quando si tratta di dover tirare fuori gli ormai famosi vocalizzi alla Rob Halford. L’eccessiva compattezza sonora rimane ancora l’unico difetto della band come dimostra la difficoltà dei presenti ad estrapolare un episodio particolare all’interno della set-list che include le devastanti “Enemy Within”, “The Unseen” e “The Empires Of The World”.
Gradevole l’esibizione dei progressive metaller Threshold, che si presentano sul palco con l’annunciata novità dello storico singer Damian Wilson al posto di Andrew McDermott, dietro il microfono. La band dopo un breve rodaggio di suoni, risponde presente con una performance di qualità che premia soprattutto le ultime produzioni della band. Vengono eseguite delle ottime versioni di “Slipstream” e “Pressure” che mostrano il lato più catchy e pesante della band. Positiva la prova di tutti i membri con un Wilson imprescindibile anche sui nuovi pezzi e il chitarrista Karl Groom puntuale nella riproposizione dei bellissimi soli all’interno delle canzoni. Il sestetto anglosassone concede ai presenti anche un brano più articolato e dal minutaggio elevato come “Pilot In The Sky Of Dream” e chiude un bello spettacolo con la coinvolgente “Mission Profile”, resta solo il rammarico per i cori e controcanti che non venivano eseguiti dai musicisti in prima persona ma erano banalmente campionati creando un pò di freddezza nella resa finale.
Anche i Vision Divine si presentano sul palco dell’Idroscalo con un annunciato cambio di line up che riguarda ancora una volta il cantante, il dimissionario Michele Luppi viene infatti sostituito dal membro storico Fabio Lione che aveva abbandonato anni fa per concentrarsi esclusivamente sui Rhapsody. Nel complesso devo ammettere che la voce di Luppi pare meglio calzante al power melodico proposto dalla band italiana, tuttavia il rientrato Lione sforna una prestazione priva di sbavature che mette in evidenza la sua tipica impostazione lirica. La band di origine toscana appare nel complesso in buona forma e nell’ora a sua disposizione esegue brani spalmati su tutta la discografia; i classici rispondono ai nomi di “Vision Divine” e “Sand Me An Angel”, mentre dalle pubblicazioni più recenti (quelle con Luppi alla voce), emergono delle brillanti riproposizioni di “The Perfect Machine”, “Colours Of My World” e “Alpha & Omega”, che dimostrano la perfetta sintonia già acquisita dalla “ritrovata” formazione. Finale di concerto un pò sottotono con la pioggia che inizia a scendere intensamente e costringe molti spettatori a rifugiarsi lontano dal palco.
Si sono da poco spenti i riflettori sui Vision Divine, il pubblico è assiepato sulle transenne per assistere allo show degli Epica, molti sono quelli venuti appositamente per godere dell’ammaliante voce della bella Simone Simmons. Ci si mette il tempo a guastare lo spettacolo, quello che sembrava un fugace temporale decide di stazionare proprio sull’idroscalo, la pioggia cade copiosa, ma lo show non si interrompe, anche se in molti decidono di trovare un riparo sotto il tendone della ristorazione. Non riusciamo a seguire del tutto lo show, perdendone la parte centrale, tuttavia l’impressione che la band ha lasciato è buona a parte forse sul finale, dove la Simmons ha dato qualche segno di cedimento, forse per il tempo e la pioggia che ha tratti è caduta sul palco.
Quando il meteo sembra ormai sulla retta via ecco salire sulla scena gli Helloween, che con il loro power divertente scacciano le ultime nubi presenti. La band di Amburgo sembra subito in buona forma e l’inizio con un classico del calibro di “Halloween”, viene eseguito con perizia anche da un Andy Deris più abbronzato che mai. Proprio il singer teutonico si dimostra una delle sorprese della serata non solo per le sue abili doti di intrattenitore ma anche e soprattutto per una prestazione vocale di ottimo livello che gli permette di accostrasi positivamente alle esecuzioni di classici anche improbabili come la devastante “March Of Time”. Immancabili i pezzi dal passato più recente come “As Long As I Fall”, “If I Could Fly” e un gustoso medley comprendente stralci di “Perfect Gentleman”, “Where The Rain Grows” e “Power” che precede l’inutile solo del drummer Daniel Loeble. Di spessore la prestazione del tarantolato Markus Grosskopf al basso , mentre alla chitarra sempre più forza e convinzione nei propri mezzi sta prendendo l’ancora novello Sascha Gerstner, spalla del solito Miki Weikath, simpatico nelle pose da pensionato che assume durante lo show. Dopo un esecuzione poco brillante di “Dr. Stein” è già tempo di bis, con due zucche giganti che si gonfiano ai lati del palco e vanno a completare una coreografia che vedeva già capeggiare sullo sfondo l’immagine sinistra dell’ultimo disco “Gamblin With the Devil”. Sono due classici intramontabili, da suonare a occhi chiusi, i pezzi che chiudono lo spettacolo; “Future World” e “I Want Out”, vengono così proposte senza troppi fronzoli, tra l’entusiasmo generale per un concerto convincente sia nella scelta della set-list che nella prestazione del gruppo.
Grande attesa per la prima in Italia degli Avantasia e il gruppo capitanato da Tobias Sammet non si fà attendere più di tanto calcando la scena con discreta puntualità poco dopo le 22. Sono le note di “Twisted Mind” ad aprire lo show con un pubblico in delirio anche per l’ottimo allestimento del palco che vede lo sfondo riservato all’immagine dell’ultimo lavoro in studio e una scaletta che porta ad una sorta di secondo palchetto dietro la batteria. La formazione prevede la presenza di un grandissimo Sascha Paeth alla sei corde e l’Edguy Felix Bohnke alla batteria. Il basso è curato da Robert Rizzo (già col Turilli solista) e le tastiere dal guru Miro. Alla seconda chitarra prestazione da ricordare per l’ecclettico Oliver Hartmann, protagonista vocale di almeno un pezzo e sempre utile nel supporto corale. In fondo al palco sulla destra sono infine presenti due coriste tra cui spicca la paffuta Amanda Somerville. Lo spettacolo prosegue con un Tobias in grande spolvero anche come intrattenitore, il nuovo look col capello corto e un pò trendy sembra aver giovato senza un apparente connessione di fatti, anche all’ugola del frontman tedesco, in palla per tutta la durata del concerto. L’ultimo disco “The Scarecrow” è il punto di riferimento della serata e non a caso dal suddetto lavoro vengono estratte la maggiorparte delle canzoni. La titletrack e “Another Angel Down”, vedono la partecipazione di un indemoniato Jorn Lande acclamato a gran voce da tutta la platea, mentre il solo Sammet dimostra di cavarsela alla grande con un insidiosa “The Toy Master” e il singolo di grande impatto “Lost In Space”. La band non trascura nulla e interpreta aderittura un paio di brani dai singoli posti in apertura dell’ultimo “The Scarecrow”, ma il pubblico dimostra di gradire maggiormente perle dal passato come “Reach Out For The Light” e “Avantasia” con l’apparizione di un Andrè Matos con qualche problemino tecnico al microfono oltre che alla bilancia. Favolosa invece l’apparizione di un applauditissimo Bob Catley, capace di assicurarsi sin da subito i favori generali in virtù di una voce ed un carisma d’altri tempi. Dopo una sfavillante “Serpents In Paradise”, la band ci regala un momento di grande emozione con “Farewell”, splendida nell’intrpretazione morbida della Somerville e negli intrecci corali, prima del gran finale con tutti i cantanti sul palco per una versione da musical di “Sign Of The Cross”, mixata con inserti da “The Seven Angels”, capace di chiudere nella maniera migliore uno spettacolo davvero coinvolgente e apprezzato sia dal punto di vista organizzativo che da quello meramente tecnico-interpretativo.
Foto:
.: White Skull
.: Biomechanical
.: Eluveitie
.: Epica
.: Helloween
.: Threshold
.: Vision Divine
.: Avantasia
Report a cura di Matteo Cereda e Paolo Manzi
Siamo alla ricerca di un nuovo addetto per la sezione DEMO, gli interessati possono contattare lo staff di Holy Metal, nel frattempo la sezione demo rimane temporaneamente chiusa.