C’è il pubblico delle grandi occasioni in quel di Milano, per l’attesissimo Sold Out degli Slipknot. A fare compagnia alla band di Des Moines i maestosi Machine Head di Robb Flynn e i freddamente finnici Children of Bodom di Alexi Laiho.
CHILDREN OF BODOM
Sono proprio quest’ultimi ad aprire il concerto alle 19.00 quasi spaccate ed il motivo dell’accostamento della band nordeuropea alle due americane è subito chiaro: i COB portano un sacco di ragazzini e ragazzine. Probabilmente la recensione di questa band sarebbe stato opportuno farla subito dopo la loro esibizione, perché quelle successive l’hanno praticamente fatta impallidire, sbiadita e cancellata sotto colpi di machete e urla inenarrabili. La questione dei volumi bassi per la band di supporto regge poco, è vero forse i puffi avrebbero fatto più chiasso senza amplificazione, ma la qualità delle canzoni e delle band è il vero deterrente che ci fa soprassedere all’esibizione di Laiho e soci. Tanto shredding…ma poca, pochissima sostanza. Solo una menzione per “In Your Face” che ha fatto saltare anche alcuni dei fan accorsi per vedere le altre band.
MACHINE HEAD
L’aria si scalda, le sigarette si accendono e la tensione sale. Le palpitazioni anticipano le imminenti scariche di cassa di Dave McClain. Sappiamo benissimo che i Machine Head hanno un conto in sospeso con l’Italia, da quell’ultima data in cui ci privarono (a causa dello svenimento del povero Phil Demmel) della imponente e conclusiva “Davidian”. I quattro di Oakland sembrano ricordarselo ed alla fine offriranno quello che a detta di tutti è stato il migliore concerto dei Machine Head in territorio italiano. Purtroppo solo sette canzoni, ovviamente di lunga durata, per una band che non ha affatto stancato gli spettatori. Flynn è esaltato dal pubblico ed il pubblico da Flynn; per questo dalla prima nota di “Clenching the Fists of Dissent” le urla si fanno potenti quanto l’esplosione di sound della band…in una sorta di scontro tra titani: i Machine Head contro il pubblico. Uno scontro amico ma senza esclusione di colpi. Volete la violenza? Vi diamo la violenza! Volete l’impatto? Volete mandare a farsi fottere i giornalisti che hanno sperequato senza esitare sulla morte del compianto Dimebag Darrell? Eccovi “Aestethics of Hate”, cantata e pogata da quanta più gente possibile. E via così di impatti, sberle, sudore e cuore; passando da “Imperium” a “Ten Ton Hammer” fino a “Halo”, “Old” ed infine…”Davidian”. Sì, Robb se lo ricorda quanto successo mesi fa ed invita il proprio pubblico a scatenare l’inferno sotto di sé. Questa “Davidian” viene suonata due volte più potente e due volte più veloce. Due “Davidian” in una esecuzione sola. I Machine Head amano il pubblico, la musica, la passione. Non c’è nota che non traspaia questi sentimenti. Chi non mi crede si cerchi dei video. Grandi. Grandi.
SLIPKNOT
L’esibizione dei Machine Head rischiava di fare impallidire qualunque band avrebbe suonato dopo. Prendersi un quartetto che alle volte è in grado di incendiare i palazzetti è un rischio che solo chi sa di essere troppo grande si può permettere. E gli Slipknot, sono troppo grandi. Primi in classifica in decine di paesi del mondo con il fantastico “All Hope is Gone”, celeberrimi per essere tanto amati dai fan quanto odiati e bistrattati dai defenders (anche se credo che sia un virus che affligge principalmente il nostro paese) i Nove mascherati si apprestano a concludere uno storico 2008 con degli show europei che sanciscono la loro supremazia nella scena metal mondiale almeno per quest’anno. Il sold out di Milano è sintomo che in Italia c’è anche chi ha gusto e apprezza le cose nuove. Per questo quando gli Slipknot salgono sul palco scoppia il putiferio. Sicuramente la scaletta ha fatto impallidire chi si aspettava un concerto all’insegna della quarta release, dato che i soli pezzi presi in considerazione sono stati i due singoli “Psycosocial” e “Dead Memories”. Tuttavia l’apertura affidata alla folle “Surfacing”, seguita (dalla preferita di chi scrive) “The Blister Exists” hanno fatto subito esaltare la folla. Quanto emerge subito dopo le prime quattro canzoni (sparate fuori a ripetizione senza pietà per chi si trovava nel mezzo del pogo) è la netta differenza tra gli Slipknot di ieri e quelli di oggi. Oggi i nove sono una macchina da soldi e da successi, che lascia il segno ovunque passa, non solo forte della fama e della insania che la precede ma anche dei risultati. Non ci sono clichè né afflosciamenti dietro alla band, ma solo nove folli che spaccano come spaccavano dieci anni fa, solo molto meglio dal vivo, con un Corey Taylor padrone della serata e della band; frontman capace di fare saltare il pubblico, ostentare qualche parola (e bestemmia) in italiano e presentarsi come uno spirito vivo, di uno che ama davvero ciò che fa e che a quanto pare è la sua unica passione nella vita. Come lui anche gli altri si muovono a proprio agio su di un palco fatto di percussioni movibili, drum kit volanti e scenari distopici. L’impressione è che siano diventati dei veri professionisti e non più degli animali da palco, ma è lo scotto da pagare di quando si diventa così grandi: insomma, incredibili…ma i Pantera nascono una volta sola. Le canzoni con qui i nove di Des Moines si congedano sono un’inattesa “Only One”, una spettacolare “Duality” (non presente in molte date del tour), “The Heretic Anthem” ed una “Spit it Out” da puro delirio, mai così violenta e pregna di cattiveria. A chiusura del concerto, dopo la pausa, “515”, People=Shit e (sic). Gli Slipknot si congedano tra gli applausi di un PalaSharp stracolmo e danno appuntamento al prossimo anno, in occasione del decennale della band. Un tour che ripercorrerà tutti gli album della band ed anche l’ultimo “All Hope is gone”, come da promessa. Ne vedremo delle belle.
Setlist MACHINE HEAD:
Clenching the Fists of Dissent
Imperium
Ten Ton Hammer
Aesthetics Of Hate
Old
Halo
Davidian
Setlist SLIPKNOT:
Surfacing
The Blister Exists
Get This
Before I Forget
Liberate
Disasterpiece
Dead Memories
Psychosocial
The Heretic Anthem
Prosthetics
Spit It Out
Duality
Only One
515
People=Shit
(sic)
Report a cura di Riccardo “Rik” Canato
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